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Sagarana GLI OCCHI DI JIMMY CARTER


E. C. Osondu


GLI OCCHI DI JIMMY CARTER



 

Quando aveva tre anni, la bambina si rovesciò accidentalmente addosso la padella bollente con cui sua madre friggeva le polpette di fagioli. L’olio rovente le lasciò sugli occhi due cumuli di pelle cicatrizzata, e la rese cieca. A tutti quelli che venivano a confortarla, la madre raccontava di aver sentito dire da un’infermiera che all’ospedale avrebbero tagliato via la pelle cicatrizzata e che la bambina sarebbe tornata a vedere. A onor del vero, non gliel’aveva detto un’infermiera vera e propria, ma una baby-infermiera. Era così che chiamavano le ausiliarie del policlinico, dove la madre aveva passato tre mesi con la bambina, a osservarle gli occhi coperti da garze e violetto di metile.
Nessuno la accusava i quanto era successo. Nel villaggio, nessuno passava le giornate a sorvegliare i bambini. Una donna aveva migliaia di lavori da sbrigare: andare a prendere l’acqua e la legna per il fuoco, lavare i panni, cucinare per la famiglia; badare ai figli doveva in qualche modo rientrare tra queste faccende. L’aveva lasciata accanto all’olio bollente ed era corsa in casa a prendere il barattolo del sale. Le serviva una presa di sale da spargere sull’olio fumante per capire se era pronto per tuffarci l’impasto di fagioli. Era tornata fuori di corsa, ma la bambina aveva già afferrato la padella con l’olio. La donna si era messa a urlare e subito era accorsa molta gente. Come da tradizione nel villaggio quando succedono queste cose, in molti avevano dato un’occhiata alla bambina ed erano corsi di filata a casa per tornare portando svariati rimedi, alcuni utili, la maggior parte inutili. Chi arrivò con una bottiglia scaduta di violetto di metile, chi con una bottiglietta nera e maleodorante piena del grasso di un boa ucciso cinque anni prima. Una arrivò con un impiastro di tapioca umida che, così sosteneva, avrebbe raffreddato la pelle senza lasciare cicatrici. Tutti quanti furono rovesciati sul viso della bambina. Qualcuno chiamò a gran voce la Levatrice. La Levatrice gestiva il dispensario del villaggio. Non si limitava a far nascere i bambini: scriveva le ricette, vendeva le medicine e faceva le punture. La Levatrice diede un’occhiata alla bambina e ordinò di portarla al policlinico, nella sede del governo locale, che si trovava a dieci miglia buone. Chiamarono un moto-taxi, e la donna, tenendo stretta a sé la bambina, partì per l’ospedale. La gente si raccolse attorno al fuoco ormai spento e iniziò a discutere dell’incidente.
“Soldi, soldi, sempre soldi, non pensano ad altro le giovani d’oggi. Ai miei tempi non sarebbe successo.”
“Non è stata colpa sua. Deve pensare a sé e alla bambina. Lo sapete che suo marito un bel mattino si è alzato e se n’è andato.”
“Ne ho viste di peggiori, ai miei tempi, di scottature. È giovane e la sua pelle guarirà senza problemi. Di qui a qualche anno, quando rivedrete quella stessa bambina rimarrete sconvolti. Avrà la pelle immacolata.”
“Il mio olio di boa guarisce tutto. Mica serviva portarla all’ospedale, un goccio del mio olio ogni mattino e guariva perfettamente.”
“Ah, l’olio del boa che ammazzarono anni fa, me lo ricordo, era così grande che la gente l’aveva scambiato per un tronco d’albero caduto in mezzo alla strada. Dai segni neri sul dorso si capiva che aveva vissuto quasi quarant’anni.”
“Ce l’ho anch’io una bottiglia dell’olio. Solo, ho dimenticato di portarla.”
“Chissà perché la Levatrice gli ha detto di portarla al policlinico. Con tutte le medicazioni che le abbiamo spalmato addosso, anche se gliel’avessero bruciata le fiamme del purgatorio la sua pelle sarebbe guarita per forza.”
“Lo sapete no che lei rappresenta gli occhi e le orecchie del governo qui tra noi. Il suo lavoro non è solo dare da bere intrugli di sale e zucchero ai bambini con lo stomaco sottosopra. L’hanno mandata qui per far sentire la voce del governo. Se non le obbedisci, puoi cacciarti nei guai.”
“Lo sapete che da quando è arrivata qui gli esattori delle tasse sanno sempre il giorno migliore per presentarsi; ora vengono quando sono tutti in casa. Chi glielo dice secondo voi?”
Si guardarono con l’aria di chi ha parlato troppo e cominciarono a disperdersi. Verso sera, l’autista del moto-taxi tornò ad avvertire i vicini della donna che lei aveva chiesto di portarle qualche vestito all’ospedale. Mandava anche a dire di frugare sotto il materasso e di portarle tutti i soldi che c’erano.
La gente del villaggio si riunì e preparò la lista dei turni di coloro che le avrebbero portato da mangiare all’ospedale. Alcuni si offrirono di passare una notte là con lei, ma la donna disse loro di non disturbarsi. Gli ospedali erano sovraffollati e le famiglie dei pazienti dormivano nella veranda all’aperto. Quelli che ci andarono raccontarono che il posto puzzava di acido fenico e morte. Dissero che per via delle continue interruzioni di corrente, il ghiaccio si scioglieva dai corpi dei cadaveri dell’obitorio e quelli emanavano un fetore, come di sgombro congelato putrefatto. Dissero che i dottori e le infermiere avevano le loro cliniche private e preferivano che i pazienti andassero a farsi visitare là, anziché al policlinico. Dissero che gli occhi della bambina erano coperti di garza e che lei non riusciva a ingoiare e che bisognava nutrirla con una cannuccia.
La donna e la figlia rimasero molto tempo in ospedale. Più a lungo di quanto ci rimangono le persone che vanno a farsi togliere un’ernia. Nessuno seguiva più i turni; la gente del villaggio era tutta presa dalla semina. Un’altra donna si mise a friggere akara sul ciglio della strada e la gente cominciò a comprare da lei. Di tanto in tanto, qualcuno accennava alla donna e a sua figlia e poi distoglieva lo sguardo con imbarazzo.
Un giorno la donna tornò con la bambina, che era ormai cresciuta un bel po’. Due spessi strati di pelle cicatrizzata le coprivano gli occhi. Era cieca, cosa assai bizzarra. Non s’era mai sentito di una bambina cieca. Nel villaggio, la gente diventava cieca in vecchiaia. Dicevano che ognuno si sceglie la parte del corpo che invecchierà più delle altre. Alcuni sceglievano le orecchie e diventavano sordi. Altri sceglievano di invecchiare nei denti e li perdevano tutti.
La madre della bambina sorrideva e non diceva granché. Non si lamentò per essere stata abbandonata all’ospedale. Ben presto tornò al suo lavoro e a friggere akara sul ciglio della strada. Non c’era ostilità tra lei e l’altra donna, che pure si era messa a friggere akara. La donna diceva che il cielo è abbastanza ampio perché gli uccelli possano volare senza che le loro ali si sfiorino.
La bambina sedeva al fianco della madre e le passava quando il sale, quando altri oggetti. La madre la lasciava da sola per andare in casa, la gente veniva e comprava akara e la bambina raccoglieva i soldi e faceva i resti giusti. E questo era molto strano perché la bambina non era andata a scuola e anche se così fosse stato, era cieca, allora come faceva a riconoscere le banconote?
Un giorno al villaggio una bambina scomparve. A volte i bambini si perdevano, ma in genere venivano ritrovati nel giro di poche ore. Quella volta fu diverso. Nessuno aveva visto la bambina. Quando un piccolo spariva, la madre si legava un foulard stretto alla vita e andava in giro per il villaggio urlando e chiedendo “Chi ha visto mio figlio?” Era convinzione generale che, una volta persa la voce, il bambino si sarebbe trovato. Al secondo giorno la piccola era ancora dispersa. La madre aveva perso la voce, ma la bambina non era stata ancora ritrovata. Quando la madre passò accanto alla donna che friggeva le polpette di fagioli, e piangeva e urlava “Chi ha visto mia figlia?”, la bambina cieca parlò per la prima volta.
“Io lo so chi ha rapito la bambina scomparsa.”
“Sta’ zitta e non cacciarci nei guai tutt’e due.”
“L’ho visto che dava alla bambina un pezzo di zucchero; gli ha fasciato la bocca con uno straccio e l’ha buttata in un sacco di juta e poi è andato via con la moto.”
La donna non aveva mai sentito sua figlia pronunciare così tante parole. Ogni volta che aveva scelto di parlare, la bambina l’aveva fatto in un sussurro. In molti pensavano che non parlasse affatto.
La madre chiamò la donna. Ripeté a voce alta quel che aveva detto la bambina. Arrivò la gente del villaggio. C’era un solo uomo che conoscevano che guidava una moto e aveva un sacco di iuta: l’uomo che comprava i semi di cacao al villaggio. Mandarono dei giovani a cercarlo. Lo trovarono con la bambina due città più in là. Aveva intagliato nella sacca un buco attraverso il quale dava da mangiare alla bambina. L’aveva rapita per i rituali vudù macina-soldi. Correva voce che le piccole vergini si potevano stregare per poi farle vomitare soldi grazie al vudù. L’uomo pianse e disse che era stato il diavolo a farglielo fare.
I genitori della piccola che era stata rapita portarono un dono alla bambina cieca e a sua madre. Nessuno cercò di capire in che modo la bambina fosse arrivata a quella informazione. Alcuni dissero che doveva avere sentito qualcosa. Dissero che la cecità le aveva affinato le orecchie. Sua madre un sospetto ce l’aveva, ma non disse nulla.
Un giorno la bambina disse piano alla madre: “Mio padre non tornerà mai più.”
“Perché dici così? Non so nemmeno se te lo ricordi tuo padre, eri così piccina quando se n’è andato.”
“È scappato con la sorella più piccola della moglie del Catechista.”
“Come fai a saperlo?” chiese la donna, stupita e spaventata.
“Andavano a Mokwa. Lui voleva iniziare un’altra vita con lei, l’auto su cui viaggiavano si guastò lungo il tragitto; tutti i passeggeri scesero mentre l’autista apriva il cofano per capire che succedeva. Lui attraversò la strada per andare a far pipì, e un’auto che arrivava dall’altra parte lo travolse.”
“Bambina mia, ma come fai a sapere queste cose?” chiese la donna.
“L’hanno seppellito sul ciglio della strada, la sua tomba è infestata dalle erbacce, e lui non tornerà mai più.”
La donna rimase taciturna per un po’. Tutta quella storia sembrava vera. Si mise a piangere in silenzio, tra sé.
Alla fine la cosa venne alla luce. La gente del villaggio si accorse dei reali poteri della bambina e cominciò a consultarla per avere delle risposte.
“Pioverà tanto quest’anno? Così potrò piantare la tapioca invece dell’igname?”
“La pecora nera non è rientrata col gregge ieri sera. Dove potrà mai essere?”
“Mio figlio che vive in città non torna a casa da cinque anni. È morto o è in prigione?”
“Mio figlio che è morto tre anni fa: è stata morte naturale o l’altra moglie di mio marito lo ha avvelenato quando io non ero in casa?”
“Il prezzo del cacao sale o scende quest’anno?”
“Mio marito è ammalato da molti anni ormai; pensi che guarirà?”
La bambina rispondeva a tutte le domande in un sussurro, rispondeva con sincerità. Talvolta le sue risposte causavano rogne, distruggevano famiglie. C’erano volte in cui sua madre le faceva cenno di tacere, ma lei diceva come stavano le cose tutte le volte. Le risposte sgorgavano dalla sua bocca come un placido fiume. Diceva quel che aveva da dire e poi taceva.
Grazie a lei la prosperità arrivò al villaggio. La gente seminava le piante giuste al momento giusto e otteneva floridi raccolti. La cattiveria era una rarità. Le persone smisero di rubare perché sapevano che lei li avrebbe smascherati. Sempre più contadini comprarono la moto. La vita non era mai stata migliore.
La madre smise di friggere akara. Si manteneva discretamente con i doni ricevuti dalla bambina. Per una volta in vita sua era felice. Si sentiva gli occhi della bambina sempre addosso e a volte rabbrividiva un po’ quando si accorgeva che lei la stava fissando. La voce della bambina non cambiava, i suoi seni erano piccoli. La madre fu felice quando cominciò a sanguinare a piccole gocce ogni mese. Grazie al cielo è una donna si disse.
La gente raccontava molte cose sull’origine dei poteri, ma nessuno li negava.
“I poteri vengono dalla dea del fiume. Quando lei parla, è la dea del fiume a parlare.”
“È la Vergine Maria a dare alla gente doni simili, per questo la chiamano la voce dei muti e lo sguardo dei cechi.”
“Non è cattolica, e nemmeno cristiana, neanche lo nomina il nome di Dio.”
“Dio che le ha strappato gli occhi le ha donato la vista, e adesso lei vede molto più di noi che abbiamo due occhi.”
La gente raccontava ogni sorta di cose, ma continuava ad andare da lei in cerca di risposte. Talvolta la madre diceva che la piccola era stanca e doveva riposare, ma lei usciva dalla sua stanza e dava le risposte a chiunque ne avesse bisogno. La gente ricordava alla madre che adesso poteva permettersi di portare la bambina all’Ospedale Missionario Battista, nella metropoli. La madre fingeva di non sentirli. Non riteneva saggio immischiarsi con il volere di Dio, disse a quelli che ebbero l’ardire di chiederglielo. Inoltre, se la bambina l’avesse ritenuta una cosa tanto giusta, l’avrebbe detto. In molti concordarono con la madre; dopotutto, loro che avevano due occhi non vedevano tanto quanto lei.
Fu all’incirca in quel periodo che l’ex Presidente americano Jimmy Carter lanciò il programma per il debellamento della cecità fluviale. Il programma prevedeva l’invio di dottori e infermiere nei villaggi a dispensare medicine per la prevenzione della cecità fluviale. Visitavano gli occhi e distribuivano occhiali, che la gente del villaggio chiamava gli anya di Jimmy Carter, cioè gli occhi di Jimmy Carter. Le montature degli occhiali erano di seconda mano, regali e donazioni di americani benestanti. A questo giro però, le cose sarebbero state un po’ diverse; sarebbero venuti con degli oculisti per rimuovere le cataratte. Fu la Levatrice ad annunciare la notizia. Disse alla gente del villaggio che era stata lei a far sì che succedesse, che all’inizio il villaggio non rientrava nel programma delle operazioni alle cataratte; aveva fatto lei pressioni perché ce lo includessero.
La gente era esaltata per la buona notizia. Uno dei vecchi del villaggio disse che l’ex Presidente era un uomo buono perché aveva coltivato noccioline prima di diventare Presidente.
Erano già stati al villaggio vicino e avevano mandato un messaggio ai capi per avvertire del loro arrivo. La Levatrice disse che sarebbero passati di casa in casa.
All’inizio tutti aspettavano con fervore la visita, ma poi la donna annunciò che quella poteva essere un’opportunità per far rimuovere le cicatrici che coprivano gli occhi di sua figlia. Era gratis e la bambina aveva perdite di sangue, era una donna adesso e le serviva un marito. L’aveva detto solo a poche persone. Ben presto nel villaggio girò la notizia che la bambina si sarebbe operata. E ci fu rabbia, ci furono lamentele, ci fu risentimento e poi la gente cominciò a lagnarsi a voce alta.
“Questo programma non è per gente come lei, è per chi perde la vista per via della cecità fluviale.”
“Ha perso la vista per la negligenza di sua madre. È lei che dovrebbe accollarsi i costi dell’operazione, in un ospedale normale.”
“Quali garanzie ci sono che tornerà a vedere? Anche se le sollevano la pelle, mi hanno detto che i bulbi oculari sono spenti e inanimati. Nessuno dovrebbe far soffrire per nulla quella povera bambina.”
“Dicono che sua madre vuole un marito per la figlia, conosco molti uomini che la sposerebbero volentieri così com’è, è una miniera d’oro.”
“Un marito serve alla madre, semmai. Perché non si è mai risposata dopo che suo marito è scappato, visto che sappiamo tutti che è morto, l’ha detto la bambina.”
“La bambina appartiene a tutto il villaggio ora, non a sua madre e basta. Ha smesso di essere proprietà della madre nel momento in cui ha ricevuto il dono.”
“Avete proprio ragione... se il dono fosse per lei sola, si sarebbe limitata a dire alla madre della scomparsa del padre.”
“Giusto... lei vede le cose per tutti, ci è stata mandata per arricchire il villaggio.”
“Perché gli americani ci mandano gli oculisti? Vorranno mica dirci che hanno curato tutti i ciechi d’America?”
“Gli Anziani devono riunirsi e dire alla donna cosa fare, magari non lo sa.”
La voce arrivò agli Anziani e poiché si trattava delle persone che agivano per l’interesse degli abitanti del villaggio decisero di persuadere la madre della bambina a fare la cosa giusta. Portarono le loro motivazioni: dissero che il dono della figlia era per il bene di tutti, che se fosse stato per la madre e basta avrebbe visto le cose solo per sua madre. Parlarono alla donna a lungo. E lei rispose loro che la bambina aveva già delle perdite e che era una donna. Voleva che si sposasse e avesse dei figli. La Levatrice andò con gli Anziani. Spiegò la differenza tra una cataratta e le condizioni della bambina. Era probabile che la bambina non recuperasse la vista dopo l’operazione, cosa che l’avrebbe potuta traumatizzare e persino farle perdere il dono della parola, il che sarebbe stata una doppia tragedia. Parlarono a lungo alla donna. Gli Anziani le dissero che avrebbero dato con gioia la bambina in sposa a uno dei loro figli. Lei pianse, e fece cenno di sì con la testa e fu d’accordo con loro.
Il giorno in cui arrivarono gli oculisti americani, la donna e la figlia chiusero a chiave le porte e rimasero in casa finché quelli non se ne andarono. Alcune persone si fecero gli occhiali nuovi; alcune furono operate. Erano tutti felici. Si accennò alla bambina e a sua madre come a delle eroine, che avevano messo l’interesse della città davanti al loro stesso bene.
Quando la stagione delle piantagioni cominciò, la gente venne dalla bambina con le domande, ma ahimè, lei non aveva risposte. Il fiume si era prosciugato.
“Non è stata colpa nostra. Non dobbiamo prendercene la responsabilità,” fece uno del villaggio.
“Tutto ciò che ha un inizio deve avere una fine; anche l’oceano più profondo ha un fondo. E ad ogni modo era destino che smettesse di vedere le cose un giorno.”
“È colpa del potente vudù dell’uomo bianco, o forse non sapete che i bianchi sono potenti?”
“La bambina cieca e sua madre dovrebbero considerarsi fortunate; fossero state in un altro villaggio le avrebbero lapidate per stregoneria.”
Così nel villaggio la vita tornò alla normalità e la coscienza di ciascuno ritrovò la pace. Di tanto in tanto, quando mancava una pecora all’appello, si sentiva il padrone mordersi le mani e imprecare a bassa voce: “Se quella cieca avesse ancora i suoi poteri.”






Traduzione di Nausikaa Angelotti




E. C. Osondu
E. C. Osondu è uno scrittore nigeriano autore di racconti. Con il racconto “Waiting”, ha vinto nel 2009 il Caine Prize, per cui era già stato finalista nel 2007. I racconti di Osondu sono stati pubblicati su Agni, Guernica, Vice, Fiction e The Atlantic. Nel 2010 è stata pubblicata “Voice of America”, la sua prima raccolta di racconti. In Nigeria, Osondu lavorava nel settore pubblicitario. Nel 2008, ha ottenuto una borsa di studio presso la Syracuse University. Dal 2010, insegna al Providence College scrittura creativa, letteratura e sviluppo delle civiltà occidentali. “Voice of America” è stato incluso in “Gods and Soldiers: The Penguin Anthology of Contemporary African Writing” (2009).




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