SAMSON Brano tratto dal romanzo Mentre Morivo William Faulkner
(…) Era appena prima del tramonto. Eravamo a sedere sotto il portico quando su per la strada arriva il carro con sopra loro cinque e quell’altro a cavallo, dietro.
Uno ha levato la mano, ma avevano tutta l’intenzione di passare davanti allo spaccio senza fermarsi.
“Chi è, quello?” dice MacCallum: il nome non mi viene: il gemello di Rafe; quello, era.
“È Bundren, di là da Nuova Speranza” dice Quick.
“È uno dei cavalli di Snopes, quello che Jewel monta”.
“Non lo sapevo che ce ne fosse rimasto uno” dice MacCallum. “Credevo che voialtri, laggiù, alla fine foste riusciti a darli via tutti”.
“Sì, prova a acchiapparlo, quello lì” dice Quick. Il carro stava tirando diritto.
“Ci scommetto che non è stato il vecchio Lon a darglielo” dico io.
“No” dice Quick. “L’ha comprato da Pappy”. Il carro tirava diritto. “Si vede che non lo sanno, del ponte” dice.
“E che ci fanno da queste parti?” dice MacCallum.
“Si staranno prendendo una vacanza dopo sotterrata la moglie, mi sa” dice Quick. “Diretti in paese, mi sa, visto che anche il ponte di Tull è partito. Chissà che non abbiano sentito del ponte”.
“Dovranno volare, allora” dico io. “Mi sa che non c’è più un ponte, da qui alla foce dello Ishatawa”.
Avevano qualcosa, sul carro. Ma Quick era stato al funerale tre giorni prima, e naturale che non ci sia passato neanche per la testa, a parte che avevano lasciato casa parecchio tardi e non avevano sentito nulla del ponte. “Sarà meglio che gli facciate un urlo” dice MacCallum. Accidenti, il nome ce l’ho sulla punta della lingua. Sicché Quick gli ha fatto un urlo, loro si sono fermati, e lui è andato al carro e glielo ha detto.
È tornato indietro con loro. “Stanno andando a Jefferson” dice. “Anche il ponte di Tull è partito”. Come se non lo sapessimo. E aveva una faccia strana intorno alle narici, mentre loro se ne stavano lì seduti, Bundren, la ragazza e il ragazzino a cassetta, e Cash e il secondo, quello di cui la gente parla, su un’asse di traverso sulla sponda di dietro, e quell’altro su quel cavallo pezzato. Ma mi sa che ormai ci avevano fatto l’abitudine, perché quando ho detto a Cash che sarebbero dovuti ripassare da Nuova Speranza e quello che era meglio facessero, lui dice solo:
“Mi sa che ce la facciamo, a arrivarci”.
Io non sono uno che si intromette. Che uno si faccia gli affari suoi come sta bene a lui, dico io. Ma dopo avere raccontato a Rachel che non avevano uno autorizzato a sistemarla, e oltre tutto di luglio, son tornato al fienile e ho provato a parlarne con Bundren.
“Le ho dato la mia parola” dice lui. “Se l’era messo in testa”.
Ho notato che è tipico di uno pigro, di uno che detesta muoversi, intestardirsi a muoversi una volta che si è messo in moto, uguale a quando si intestardiva a restar fermo, come se non sia tanto il muoversi quello che detesta quanto il mettersi in moto o fermarsi. E come magari sia orgoglioso di qualsiasi cosa venga su a far sembrare difficile il muoversi o il restar fermo. Se ne stava lì seduto sul carro, ingobbito, sbattendo gli occhi, a sentirci raccontare come il ponte era partito di schianto e com’era alta l’acqua, e mi venga un accidente se a vederlo non sembrava orgoglioso, come se fosse stato lui a far alzare il fiume.
“Dite che è più alto di quanto l’avete mai visto?” dice. “Sia fatta la volontà di Dio” dice. “E mi sa anche che non sarà calato di molto, domattina” dice.
“Sarà meglio se stanotte restate qui” dico io “e domattina presto partite per Nuova Speranza”. Mi facevano pena quei poveri muli tutti pelle e ossa. L’ho detto a Rachel, dico: “Be’, volevi che li mandassi via col buio, a otto miglia da casa? Cos’altro potevo fare?” dico. “È solo per una notte. La tengono nel fienile, e di sicuro all’alba se ne vanno”. E così dico: “Stanotte restate qui, e domattina presto potete tornare a Nuova Speranza. Attrezzi ne ho quanti ne volete. I ragazzi, se vogliono, subito dopo cena possono andare avanti e farvela trovare bell’e pronta e scavata”, e poi mi trovo addosso gli occhi di quella ragazza. Se erano delle pistole, a quest’ora non ero qui a raccontarla. Mi venga un canchero se non mi tenevano sotto tiro. Sicché quando sono andato giù al fienile me li trovo davanti, con lei che parla sicché non si accorge che sto arrivando.
“Gliel’hai promesso” dice lei. “Non se ne andava finché non gliel’hai promesso. Era sicura di potersi fidare di te. Se non lo fai, ti ricadrà sulla testa una maledizione”.
“Nessuno può dire che non voglio mantenere la parola” dice Bundren. “Tutti mi possono leggere nel cuore”.
“Del tuo cuore non m’importa nulla” dice lei. Stava bisbigliando, quasi, parlando svelto. “Gliel’hai promesso. Lo devi fare. Tu …”, poi mi ha visto e ha smesso, lì ferma immobile. Se erano delle pistole, a quest’ora non ero qui a raccontarla. Sicché quando gliene ho parlato, lui dice:
“Gliel’ho promesso. Se l’è messo in testa”.
“Ma secondo me lei vorrà la sua mamma sepolta vicino, così potrà …”.
“È a Addie che l’ho promesso” dice lui. “Se l’è messo in testa”.
Sicché gli ho detto che la portassero nel fienile perché minacciava di rimettersi a piovere, e che la cena era quasi pronta. Solo che non volevano venir dentro.
“Vi ringrazio” dice Bundren. “Non vogliamo scomodarvi. Abbiamo qualcosa nel cestino. Si fa con quello”.
“Be’,” dico io “visto che ci tieni tanto alle tue donne, anch’io ci tengo. E quando qualcuno si ferma da noi all’ora di mangiare e non vuol sedersi a tavola, mia moglie lo prende come un’offesa”.
Sicché la ragazza è andata in cucina a aiutare Rachel. E poi Jewel viene da me.
“Sicuro” dico io. “Serviti pure dalla greppia. Dagli da mangiare quando lo dai ai muli”.
“Preferisco pagarla, per lui” dice.
“E perché?” dico io. “Io non lo nego a nessuno, del foraggio per il cavallo”.
“Preferisco pagarla” dice lui; e mi è sembrato dicesse in più.”
“In più per cosa?” dico io. “Non li mangia, fieno e mais?”.
“Foraggio in più” dice lui. “Gli do sempre da mangiare qualcosa in più, e non mi va che resti in obbligo con qualcuno”.
“Tu da me non compri nessun foraggio, ragazzo” dico io. “E se ce la fa a ripulire quella greppia, domattina ti do una mano a caricare tutto il fienile sul carro”.
“Non è mai rimasto in obbligo con nessuno” dice lui. “Preferisco pagarglielo”.
E se potessi fare come preferirei io, tu qui non ci rimetteresti piede, volevo dirgli. Ma dico solo: “Vuol dire che è ora che impari. Tu da me non compri nessun foraggio”.
Quando Rachel ha messo in tavola, lei e la ragazza sono andate a preparare qualche letto. Ma nessuno di loro aveva intenzione di venir dentro. “Ora che è morta, sarà superiore a certe stupidaggini” dico io. Perché io ai morti porto lo stesso rispetto che gli portano tutti, ma i morti vanno rispettati, e una donna che è morta da quattro giorni il modo migliore di portarle rispetto è di metterla sotto terra il prima possibile. Ma loro, niente.
“Non starebbe bene” dice Brunden. “Se poi i ragazzi vogliono andare a letto, vorrà dire che con lei ci resto io. Non è che per questo gliene voglio, a lei”.
Sicché quando son tornato laggiù se ne stavano accovacciati per terra intorno al carro, tutti quanti. “Almeno lasciate venire in casa il ragazzino, che dorma un po’” dico io. “E anche tu, sarà meglio che tu venga dentro” dico alla ragazza. Mica avevo intenzione di interferire. E di certo non le avevo fatto niente, che sapessi.
“È bell’e addormentato” dice Bundren. L’avevano messo a dormire nella mangiatoia in un box vuoto.
“Be’, allora vieni te” dico a lei. Ma lei niente, neanche una parola. Se ne stavano lì accovacciati, e basta.
“Voi ragazzi. Eh?” dico. “Avete una giornata lunga, domani”. Dopo un po’ Cash dice:
“Grazie. Ci arrangiamo”.
“Non vogliamo essere in obbligo” dice Bundren.
“Tante grazie”.
“Sicché li ho lasciati lì accovacciati. Mi sa che dopo quattro giorni ci avevano fatto l’abitudine. Ma Rachel no.
“È una vergogna” dice “Una vergogna”.
“Cosa poteva farci?” dico io. “Gliel’ha promesso”.
“E chi parla di lui?” dice. “A chi gliene importa, di lui?” dice, piangendo. “Vorrei solo che te, lui, tutti gli uomini su questa terra che da vive ci torturate e da morte ci insultate, a trascinarci su e giù da tutte le parti …”.
“Via, via,” dico io. “Sei agitata”.
“Non mi toccare!” dice lei. “Non mi toccare!”.
E chi le capisce. Io ho vissuto con la stessa quindici anni, e mi pigli un accidente se le capisco. Ne avevo pensate tante di cose che potevano farci litigare, ma mi pigli un accidente se mi sarei mai immaginato che sarebbe stato un corpo morto da quattro giorni, e per di più di una donna. Ma loro si rendono la vita difficile a non prenderla come viene, come fa un uomo.
Sicché son rimasto lì sveglio, con la pioggia che cominciava, a pensare a quelli laggiù sotto accovacciati intorno al carro, con la pioggia sul tetto, e a pensare a Rachel lì che piangeva finché dopo un po’ era come se la sentissi ancora piangere anche dopo che si era addormentata, e a sentire quell’odore, anche se sapevo che non era possibile. E anche allora, non riuscivo a decidere se davvero lo sentivo oppure no, o se era solo il sapere che era quello che era.
Sicché la mattina non ci sono neanche andato, laggiù. Li ho sentiti che attaccavano le bestie, e poi quando ho capito che dovevano essere quasi pronti per andarsene sono uscito dal davanti e giù per la strada del ponte finché ho sentito il carro che si avviava e riprendeva per Buona Speranza. E poi quando son tornato a casa Rachel mi è saltata addosso perché non ero lì a dirgli di entrare a mangiare un boccone. Chi le capisce è bravo. Appena decidi che sono convinte di una cosa, mi pigli un accidente se non solo devi esser pronto a cambiare idea, ma il più delle volte ti tocca anche prenderti una risciacquata per aver pensato che ne erano convinte.
Ma era come se ancora continuassi a sentirlo, quell’odore. Così, sul momento, mi son detto che non era questione di sentirlo, era solo il sapere che era stata lì, come tante volte ti succede di prendere un abbaglio. Poi, però, quando sono andato nel fienile, ho capito.
Quando sono entrato ho visto qualcosa. Si è come tirato su quando sono entrato, e lì per lì ho pensato che fosse uno di loro che era stato lasciato indietro, poi ho visto che cos’era. Era un avvoltoio. Si è voltato, mi ha visto, e si è avviato verso l’altra entrata, a zampe larghe, le ali strasciconi, voltandosi a guardarmi prima da una parte e poi dall’altra, come un vecchio con la testa rapata. Quando è arrivato fuori si è messo a volare. Ha dovuto volare parecchio prima di alzarsi nell’aria, spessa e pesante e piena di pioggia com’era.
Se si erano tanto intestarditi a andare a Jefferson, secondo me potevano fare il giro passando da Mount Vernon, come ha fatto MacCallum. Lui, a cavallo, per domani l’altro sarà a casa. Così sarebbero stati a diciotto miglia dal paese. Ma forse, col fatto che anche questo ponte è partito, il Signore gli avrà fatto entrare in testa un po’ di buonsenso e di giudizio.
Quel MacCallum. Sono dodici anni che ogni tanto viene a comprare qui da me. Lo conosco da quando era bambino; so come si chiama di nome come so come mi chiamo io. Ma mi pigli un accidente se mi viene. (…) Brano tratto dal romanzo Mentre Morivo, traduzione di Noel Polk, Adelphi, Milano, agosto 2007. William Cuthbert Faulkner (New Albany, 25 settembre 1897 – Oxford, 6 luglio 1962, scrittore statunitense, ha vinto il premio Nobel per la letteratura nel 1949.
|