CORSERA, MATVEJEVIC: STORTE DRINE ITALIANE Bozidar Stanisic’
Fino a cinque giorni fa non sapevo che sul Corriere della Sera del 16 febbraio è stata pubblicata circa mezza pagina sulla raccolta La donna sulla pietra di Ivo Andric (pp. 138, euro 15, editore: Zandonai di Rovereto, 2011) intitolata Il sogno del mio Byron. Il taglio della pagina, contenente il racconto Byron a Sintra di I. Andrić, me l’ha spedito un mio amico veneto, contento di vedere, malgrado situato in un angolino, il mio nome e cognome, accompagnati con l’informazione che sono autore della postfazione e quello di Alice Parmeggiani la tradutrice del libro. Accanto al racconto di Andrić c’è una breve nota del prof. Predrag Matvejević, intellettuale e scrittore. L’intera grafica di quest’anteprima del libro (del tutto casualmente?) è organizzata in modo tale che ai lettori inevitabilmente sembri che la raccolta di racconti di Andric sia a cura di Matvejevic.
Il libro, però, è ideato e curato dalla mia pocchezza. Aggiungo, semplicemente, che, mentre preparavo il progetto, non pensavo dove e come sarà valutato.
Al mio amico veneto avrei dovuto rispondere: beati gli ultimi…? E fra me e me, stringermi nelle spalle perché, durante i miei quasi vent’anni in Italia, dovevo abituarmi alla divisione sociale e culturale più evidente? Cioè, a quella che divide gli importanti dai non importanti. Certo che tra gli importanti esista davvero una minoranza che merita questo attributo per i meriti essenziali del pensiero umanistico, scientifico e artistico. In tutti questi anni ho avuto una piccola fortuna umana di conoscere in persona dei personaggi che appartengono a questa categoria, che sono rimasti umili e non si sono trasformati in snob. Però, la fortuna più grande per me è stata quella di conoscere molti altri personaggi della vita culturale italiana che forse non “entreranno” mai in questa categoria, ma la cui importanza non è di meno vera e autentica, poiché è causata da un operato costruito in silenzio e loro sono rimasti lontani da ogni vanità umana. Poi, con il passare degli anni, ho capito che anche questa divisione fa parte del grande male culturale italiano, che, tra l’altro, ha (in)direttamente contribuito alla sinora più grande fuga dei cervelli dall’Italia.
No, mi rifiuto ad abituarmi a questa divisione, né stringermi nelle spalle. Perciò ho mandato una mail a Paolo Mieli, direttore del Corriere e alla redazione culturale del suo giornale, in cui chiedevo la possibilità di pubblicare una mia lettera che riguarda questo episodio. Non mi hanno risposto, ma rispondo io a loro e, in qualche modo, al prof. Predrag Matvejević. All’ultimo chiedo due cose: aveva domandato alla redazione culturale del Corriere chi ha curato il libro; se questo allora gli è sfuggito, quando ha visto la pagina con il suo articolo, si è posto la domanda perché la pagina è stata graficamente organizzata in quel modo e chi ha davvero curato il libro? Se non l’ha fatto, lo capisco, nonostante non sia sempre facile comprendere la diversità fra il comportamento dell’autore e la sua opera. Può essere che ciò sia spiegabile perché chi è preceduto da un alone di notorietà non ha un buon motivo di preoccuparsi degli altri, è contento del proprio io, come i bimbi che giocano con i giocatoli sonori. Certo, tutti abbiamo le proprie ombre ma le ombre degli importanti sono un po’ specifiche – spesso, intenzionalmente, oscurano le opere altrui. Con questa considerazione credo di aver toccato, almeno con un piede, il suolo della letteratura, e m’impegnerò affinché nella mia narrativa nel futuro non manchi un riferimento anche a quest’episodio. Per quanto riguarda Paolo Mieli, capisco anche lui: è direttore di un grande quoitidiano e, di conseguenza, ritengo si senta importante. Essendo tale, chi dice che egli debba rispondere a qualche voce di protesta di coloro che vivono alla giornata e operano creativamente ma in silenzio? (Come fa, da anni, Alice Parmeggiani, non solo traduttrice, ma anche ottima conoscitrice delle letterature degli slavi del sud.) Intanto, in compenso, a tutti noi campa-cavallo-che-l’erba-cresce il suo quotidiano offre anche contenuti simili a quello in questione. E la redazione culturale del Corriere? Ormai ha un senso mandarle un messaggio con la domanda se quest’episodio, solo apparentemente sembra prodotto da un dilettantismo causato dalla falsa filosofia sull’importanza del contenitore? (No, dentro non c’è posto per gli asini che vengono invitati a nozze solo se mancano l’acqua e la legna da ardere.) La redazione si è stata al passo dei tempi recenti in Italia. E questo comportamento è davvero una metafora in cui si rispecchiano altri fenomeni simili.
No, non credo che abbia senso neppure dire ai destinatari della mia protesta che elevarsi troppo sul prossimo non fa parte delle virtù. Per loro non vale la pena scrivere che l’ormai radicata non cultura della non risposta a chi chiede la risposta non possa essere considerata una componente del dialogo democratico. Certo, non per loro, ma per chi è ancora attento, per chi ancora riesce a resistere di fronte a tutto ciò, vale la pena.
In realtà, scrivo queste righe con un’unica intenzione: trasmettere qualcosa a chi fra i giovani leggerà questa protesta. Soprattutto a quelli che sono coscienti di questi e simili fenomeni denigratori nei loro confronti, ma anche agli indecisi, perplessi, ancora non del tutto coscienti delle proprie capacità sociali e culturali. Quindi a tutti che, anche se esposti al potere dei baroni autoritari di vario genere (dall’università ai settori pubblici e privati), non vogliono chinare la testa; poco tempo fa li abbiamo visti anche sui tetti delle università… Spero calorosamente che il loro basta-basta sia fruttuoso, anche se i tempi sono difficili.
E questo qualcosa è una breve riflessione di Ivo Andric sul libro di racconti, La Drina storta di Marko Markovic, narratore bosniaco-erzegovese del Novecento, a cui l’autore del romanzo Il ponte sulla Drina, inviò una lettera composta da questi messaggi: “Tutte le Drine di questo mondo sono storte, e mai tutte e del tutto potranno essere raddrizzate. Noi, però, non possiamo rinunciare al tentativo di raddrizzarle… “. Bozidar Stanisic' (Visoko, Bosnia,1966) già professore di lettere a Maglaj, località a nord di Sarajevo, dal 1992 vive con la sua famiglia in Friuli, a Zugliano. Oltre a offrire il suo contributo letterario, pubblicistico ed educativo a diverse iniziative di pace e non violenza per i diritti civili dei rifugiati e degli stranieri, Stanisic ha sempre collaborato alle iniziative culturali dell'Associazione - Centro di accoglienza "E. Balducci", con cui ha già pubblicato tre raccolte poetiche: Primavera a Zugliano, "Non-poesie" e Metamorfosi di finestre. Diverse di queste liriche sono state incluse nelle raccolte 'Quaderno Balcanico, Cittadini della poesia", collana diretta da M. Lecomte (1986) "Conflitti - Poesie delle molte guerre", a cura di I. Landolfi (2001) e "Ai confini del verso", a cura di M. Lecomte (2006), pubblicata anche in inglese, negli USA. Grande attenzione gli dedica "Nuovo Planetario Italiano. Geografia e antologia della letteratura della migrazione in Italia e in Europa" a cura di Armando Gnisci. In prosa, oltre a numerosi articoli per riviste e quotidiani, ha pubblicato la raccolta di racconti "I buchi neri di Sarajevo" (1993), Tre racconti (199B), Bon voyage (2003). Alcuni dei suoi testi sono stati tradotti anche in sloveno, inglese, francese, albanese e giapponese. A ottobre 2007 esce li cane alato, Zevio (Verona), Perosini Editore, sette racconti.
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