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Sagarana NI UNA MUJER MáS!


– Susana Chávez : Vita e morte esemplare di una poetessa –


La redazione di Sagarana


NI UNA MUJER MáS!



 

 

Dime, con qué pasión se ensordeció, Dándole corporeidad a lo que me hace renegar de la muerte, Pero, pobre la muerte.
 
Cuando escucha de ti solloza en un temblor, Porque has dejado preñada a la eternidad de tu existencia.
 
Susana Chávez (1974-2011)
 
“Ni una mujer más!” lo slogan coniato da Susana Chávez, la poetessa e attivista messicana che ha dedicato la sua vita a battersi contro i femminicidi di Ciudad Juarez, purtroppo non è servito a proteggerla e a prevenire che anche lei facesse la stessa fine di migliaia di giovani donne. Situata in Messico sul confine con gli Stati Uniti, in questa città di un milione e mezzo di abitanti, negli ultimi anni sono state uccise (dopo essere state stuprate e mutilate) più di 400 giovani donne l’anno mentre dal 1993, circa cinquemila sono state le vittime, duemila corpi rinvenuti nelle strade o bruciati nel deserto e tremila “disperse”. In un atmosfera generale di omertà , impunità a completa assenza di giustizia gli assassini non vengono mai processati e puniti. Susana Chavez è stata una delle prime attiviste a impegnarsi per creare un movimento che ormai è su scala mondiale per denunciare i femminicidi e la cultura di violenza contro le donne. Il corpo della poetessa trentaseienne è stato rinvenuto abbandonato seminudo per strada, con la mano sinistra mozzata e la testa avvolta in un sacchetto nero di nylon ed è stato identificato dai genitori il 10 gennaio 2011, 5 giorni dopo la sua scomparsa. L’assassino della poetessa è avvenuto a distanza di un mese di quello di Marisela Escobedo Ortiz, nota attivista contro i femminicidi, che aveva iniziato il suo impegno nel 2008 dopo l’uccisione della figlia sedicenne. La sua denuncia dell’assassino in seguito alla sua confessione e indicazione del luogo di sepoltura del cadavere fu seguita dalla scarcerazione dell’assassino per “mancanza di prove” e da quasi due anni di indignato attivismo da parte di Marisela perché venisse incriminato. A dicembre del 2010 Marisela è stata uccisa (probabilmente dallo stesso assassino della figlia) davanti al palazzo del Giustizia dello stato del Chihuahua dove teneva da tre giorni un presidio permanente. Ciò che ha in un certo senso “istituzionalizzato” il femminicidio è la coltre di omertà che circonda la città messicana e che coinvolge magistrati, giudici, politici e poliziotti, molti dei quali legati al narcotraffico e alla mafia locale. A questa situazione, molte donne rispondono organizzandosi. Una delle principali associazioni in difesa delle donne di Juárez è "Nuestras Hijas de Regreso a Casa", che ha come fondatrici Marisela Ortiz Rivera (maestra di Lilia Alejandra Andrade) e Norma Andrade (mamma di Lilia Alejandra) che dal 2001 si battono contro il femminicidio di Ciudad Juárez.
Nei mesi di marzo ed aprile numerose sono state le letture di poesia in onore della poetessa come pure altre iniziative per commemorarne la memoria. Nel mese di marzo un gruppo su Facebook in Messico ha realizzato un e-book sulla questione dei femminicidi e la violenza contro le donne Intitolato appunto Unidas por lo Sangre, e le prime pagine sono dedicate a Susana Chavez, http://issuu.com/letraskiltras/docs/unidasporlasangre2011. Nella serata dedicata alla poetessa a Tijuana, la sua opera è stata ricordata sotto tre aspetti: intitolato Pícaras, místicas y rebeldes’ l’omaggio si è articolato in letture di poesie della Chavez che toccavano le tre tematiche come pure, nella sezione dedicata alle mistiche, lettura di poesie di Suor Juana Inés de la Cruz (Méssico), Blanca Wiethuchter (Bolivia) e Gloria Gervitz (Méssico).  In Italia, appena è stata divulgata la notizia dell’assassinio di Susana Chavez, l’organizzazione Donne da sud ha organizzato a Roma un flashmob il 16 gennaio e il giorno dopo un presidio per concentrare l’attenzione sia sui femminicidi sia sulla cultura di violenza, omertà e impunità che spesso l’accompagnano, non solo a Ciudad Juarez ma anche in Italia.
“Sangue del mio sangue/ di alba/ di luna spezzata/ del silenzio”, questi versi di Susana Chavez riportati nel suo blog Primera tormenta e che adesso l’accompagnano nel viaggio della morte, poiché sono stati rinchiusi nella sua bara dai suoi famigliari, non solo testimoniano una quasi assuefazione alla presenza del sangue ma sembrano presagire il suo stesso destino di vittima della violenza. Intuizione più che giustificabile, poiché negli ultimi anni, ben tredici attiviste impegnate nella lotta ai femminicidi sono anch’esse morte assassinate.  Perfino nella sua assenza, nei primi versi, la sottointesa parola sangue evoca una connaturata appartenenza che accompagna prima la specificazione di sé, di una propria identità “sangue del mio sangue”, poi a mano a mano diventa l’aggettivo nascosto che definisce le forze della natura di per sé positive (l’alba, la luna e il silenzio). L’accostamento dà però luogo a un’incrinatura, un presagio di orrore. La particolarità femminile del sangue mestruale, dell’essere legati al ciclo lunare e in un certo senso anche al “silenzio”, per il fatto che le donne sono spesso zittite nella subalternità del loro ruolo all’interno delle società patriarcali, in questa poesia si fonde con l’innaturalezza della morte delle cinquemila giovani donne sanguinanti. Nella poesia della Chavez , intitolata “Ascia” che sembra proporre una sorta di concezione programmatica della donna, non emerge affatto un’immagine di vittima, di mancanza di potere: la Donna-Ascia non nasce armata dalla testa del padre Zeus come Atena governata dalla Ragione ma nasce dalle “sue tempie/chiamate dubbio” ed è soggiogata dall’Atroce/desiderio di mordere la notte/ (…) E poi dalla prima immagine del morso si arriva ai tagli operati dalla Donna-ascia, in una specie di cerimonia in cui …tagli le lingue e le spargi/   quasi una semina che promette moltiplicazioni creative /mentre Dio si contorce dalle risate con te/.
 Sarebbe interessante esplorare come questa frequentazione su base quotidiana della morte, legata a un’esperienza di genere vissuta intensamente attraverso la presenza costante, negli anni di un numero abnorme di femminicidi e dell’impegno in prima persona contro di essi, abbia formato in Susana Chavez una visione artistica originale rispetto ad altre rappresentazioni artistiche della morte, un tema molto radicato nella cultura messicana (basti pensare all’importanza dei festeggiamenti di “El dia de los muertos”, l’onnipresenza e una sorta di gioviale convivenza con immagini della morte quali teschi, scheletri, etc) sia nella letteratura (per esempio, quello che viene considerato uno dei più importanti romanzi del 900, Pedro Paramo, di Juan Rulfo è anch’esso incentrato sul tema della morte).


 
Nel quadro della grande violenza che in questi ultimi anni caratterizza la vita messicana, specialmente in relazione al traffico di droga e di armi, alla formazione di gang rivali, etc. e il raggiungimento di uno stato di anomia sociale in molte parti del paese, non stupisce il fatto che secondo alcune statistiche Ciudad Juarez, sia considerata la città più pericolosa del mondo, davanti a Caracas e a New Orleans. Nel solo 2009 ci sono stati oltre 2500 omicidi.
Dal 1993 la città messicana è diventata tristemente famosa per gli innumerevoli omicidi, le vittime nella stragrande maggioranza giovani donne di estrazione operaia o contadina impiegate nelle numerose "maquiladoras", fabbriche in cui si producono i beni d'esportazione destinati ai paesi ricchi. Una epidemia di femminicidi che si può forse in qualche modo collegare a una specie di “economicidio” perpetrato ai danni dell’economia messicana dagli USA, lo scomodo vicino situato al nord e che negli ultimi vent’anni attraverso patti economici come NAFTA ha portato a uno snaturamento del paese, a una sua sudditanza anche di modelli (basti pensare che l’uomo più ricco del mondo è il messicano Carlos Slim, imprenditore presente in tutti i settori e specialmente quello delle telecomunicazioni e in qualsiasi campo dove ci sia da privatizzare) . Tale squilibrio si manifesta spesso in una presenza abnorme della violenza (cosa che, a pensarci bene, caratterizza anche lo scomodo vicino del nord, ma forse con versioni meno eclatanti, più sporadiche e spalmate, attraverso guerre e invasioni, sull’intero pianeta). Ma nonostante tutto, Susana Chávez amava la propria città come testimoniano queste parole scritte in uno degli ultimi post del suo blog: “Ho provato dolore prima che si acuisse tutta la violenza che stiamo vivendo tutti noi abitanti di questa mia città natale, Ciudad Juarez. Ma adesso provo una sensazione di vuoto, abbandono e impotenza, suppongo come molti altri. Immaginare un miglioramento per quanto mi riguarda è difficile, ma nutro ancora delle speranze perché sono una donna di fede. Viva Città Juarez!”
Un altro autore che è rimasto affascinato dalla città e ne ha fatto un uso paradigmatico nel suo romanzo postumo 2666  è lo scrittore di origine cilena Roberto Bolaño che ha trascorso lunghi anni in Messico. Seguendo l’esempio di Conrad di Cuore di tenebra e del regista Fred Ford Coppola in Apocalipse Now, Roberto Bolaño ha cercato di descrivere l’orrore nascosto dell’epoca della globalizzazione partendo dalla loro manifestazione paradigmatica nella città di Santa Teresa (che adombra la Ciudad Juarez di oggi il Congo di Conrad e il Vietnam di Coppola). Bolaño stesso indicò che il suo romanzo aveva un centro fisico e un centro occulto: il primo è Ciudad Juarez dove convergono tutte le storie mentre del secondo lo scrittore ha solo lasciato piste. Tra gli altri libri sull'argomento, "Huesos en el desierto" ("Ossa nel deserto") di Sergio González Rodríguez del 2006. Anche il cinema ha cercato di trattare il tema della città forse in maniera più naturalistica con il film Bordertown (2007) con Jennifer Lopez e Antonio Banderas , sostenuto dalla campagna di Amnesty International contro i delitti della città messicana.
 
 





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