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Sagarana INFERNIERI


Brano tratto dal romanzo Dell’intollerabile


Daniele Contavalli


INFERNIERI



 

(…) Qui le cose si complicano.
Li potrei chiamare in altro modo: infenieri. Le specie sono molte. An­zitutto, ci sono comunque molti di loro che sono sempre ratti, specie le caposala. Vengono poi le volpi e gli ippopotami, piccoli orsi. Di solito vanno in coppia.
Che si tratti di un bidè, di una flebo, di un trasporto, di una protesta o emergenza qualsiasi, vanno sempre in due.
Contano parecchio, sanno, di solito, molto bene cosa devono fare.
La logica tutta umana del riconoscimento, quella logica che ha creato guerre, distrutto paesi e amicizie conta anche qui, soprattutto qui, in ospedale.
Il medico deve essere capace di guidare la truppa, la truppa crede, in cuor suo, di poter fare a meno del pastore. Ma il pastore pure non scherza, sa che deve avere ascendente, polso e distacco, tutto un apparato di freccette nella faretra.
II gregge è pieno di lupi nascosti in camici bianchi.
Un solo gregge per un solo pastore. Molti greggi per un solo pastore. Molti pastori per una sola pecora. Un pastore per tutte le pecore. Boh
Nessun pastore per nessun gregge. Tutti i greggi per tutti i pastori Mah!
 
Gli infermieri sono indispensabili, ti salvano dalla merda e dalla morte. Spesso sono dei maneggioni, ossia muscolosi, talvolta invece molto esili e femminei.
Le donne spesso sono brutte, qualcuna però è veramente deliziosa. Sono felpatissimi nei movimenti, per questo talvolta sembrano volpi o piccoli orsi, ratti.
Si muovono di notte e di giorno senza quasi peso corporeo.
Ho spesso avuto la sensazione che saltassero, zompettassero per i corridoi, che si arrampicassero sui muri, arrivassero dalle intercapedini. Più volte ho sussultato dalla sorpresa, trovandone uno a piè di letto.
 
Gli ippopotami o le ippopotame.
Sono coloro che fanno di solito le cose più umili, coloro che accudiscono il malato e la stazione: l'ospedale.
La stazza li rende felpati per forza di inerzia.
Il loro grasso magari lì per li ti spaventa, poi sei alla loro mercé.
 
Le sale d'attesa sono molto importanti.
Cercano di tenere non più di due persone insieme, finché ce la fanno. Le chiamo sale d'attesa perché sono abitate dal malato, uno strano viaggiatore che sta fermo, soffre e viaggia statico.
 
Il viaggio può essere di tre tipi:
1. Quello che ti porta a casa guarito.
2. Quello che ti porta al camposanto.
3. Quello che ti porta più volte in stazione, che sembra non finire, che talvolta termina con il secondo e ti fa desiderare, fino a morire, il primo.
Le modalità del viaggio sono le seguenti:
1.Il viaggio come ricerca. Si svolge dentro la stazione. È tutto un cor­rere e aspettare la visita, i raggi, il prelievo, il dottore, la TAC, il termome­tro, l'operazione, la visita, l'ecografia, l'anestesia, il risveglio, l'ingessatura, la barella, la poltrona.
2. II viaggio come meditazione. La notte, con le sue passeggiate quan­do sei nei corridoi e non riesci a dormire, ma anche il giorno, con le sue ire e le sue palpitazioni.
Chi l'ha detto che la notte è sempre il buio del peccato e dell'assas­sinio. Di notte si fanno meravigliosi incontri con se stessi. Al più puoi provare dolore per il dolore altrui, ma a questo si rimedia subito: è un tuo radicale problema, non dell'altro, che non ti pensa neanche mentre soffre.
Il letto è il posto migliore dove meditare. E lui il trono e il letto d'amore.
Poi c'è appunto il corridoio, di solito lungo e molto ampio lateralmente.
3. Il viaggio come disperazione. È un viaggio che si fa in tre. C'è sem­pre di mezzo il letto. Arriva il primo invitato al viaggio, è un leopardo nero, un demone velenoso e improvviso, un vero cecchino per la tua vita, un essere che si mescola alla civiltà: il demone è quella cosa che ti fa riposare nel sepolcro. Niente di più civile di un sepolcro. Per me il demone nero è stato il Buffarin che, rapidamente, ha cercato di divorarsi le mie carni e la mia anima.
Non sapevo di essere allergico, non sapevo che cosa fosse un collasso e, se non fosse comparso un inferniere, che ben lo sapeva, me ne sarei andato via.
Tutto si è chiuso. Il buio è avanzato come un leopardo nero. Si è chiuso il silenzio, si è chiusa la luce. Lei si è chiusa come l'imposta di una veran­da, prima assolata, poi improvvisamente plumbea, di un'oscurità venefica e malevola.
C'era un'unica luce in alto. Il secondo invitato era questa luce, chie­deva venia, chiedeva di essere quello che era, chiedeva affidamento, e io senza problemi ho dato tutto.
II terzo invitato era la flebo. Poteva essere tranquillamente un angelo, se l'affidamento avesse previsto la morte come contropartita.
Il cuore era volato. Il buio e il veleno stavano sbranando il mio corpo. (…)






(Brano tratto dal romanzo Dell’intollerabile, Zona Contemporanea editrice, Arezzo, 2010.)




Daniele Contavalli

Daniele Contavalli, artista e scrittore, č nato a Siena nel 1964 e vive e lavora tra Bologna e Roma. Ha partecipato a numerosi eventi artistico-culturali in Italia e all’estero. Nel 1999 č stato invitato a partecipare a “RicercaRe”, a cura di Renato Barilli. Le sue opere d’arte fanno parte di collezioni private e pubbliche.





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