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Sagarana IL PRELIEVO


Brano tratto dal romanzo Prenditi cura di me


Francesco Recami


IL PRELIEVO



 

(…) Fu una settimana frenetica e disperante per Stefano, sempre in casa con la mamma, la cosa più stressante era portarla a fare le sedute di terapia, anche se l'uni­co momento di tranquillità era per Stefano proprio quell'ora e mezzo in cui la Marta era dentro, col tera­pista, e lui poteva andare a prendersi il caffè al bar e fare qualche telefonata. L'Irene trovò una persona che poteva passare qualche ora al giorno con la Marta, in modo che lui riuscisse perlomeno a fare un salto a ca­sa sua, avere un piccolo break. Un momento critico fu quando la Marta dovette essere portata a fare le ana­lisi del sangue.
 
Stefano ebbe un bel daffare a preparare la mamma il meglio che poteva, occorreva muoversi molto presto la mattina perché i prelievi in ambulatorio si facevano dalle 7 alle 9.
La mamma era già esausta e lamentosa, ondeggiante, sosteneva che non si sentiva bene.
Arrivarono all'ambulatorio che erano le sette e quaran­ta passate. Stefano non sapeva dove posteggiare il furgone, lo lasciò con le ruote sul marciapiede, a rischio multa e passaggio difficoltoso di un mezzo sopra i 35 quintali. Ma andate tutti a fare in culo, aveva pensato, sarà una questione di venti minuti.
Entrati nell'ingresso dell'ambulatorio la Marta si sedet­te, per meglio dire si accasciò, su una seggiolina rimasta libera. Stefano prese il numerino per l'accettazione, il 112, e per qualche minuto si pose quasi tranquillo in attesa della chiamata.
Il sistema di funzionamento dell'ambulatorio prevedeva una doppia lista di attesa. Prima si prendeva il nu­mero per l'accettazione: quando ti chiamavano conse­gnavi la prescrizione e il tesserino sanitario. A quel punto potevi ritirare un altro numerino, in base al quale venivi chiamato nelle stanzette per il prelievo. Cazzo, qui ci schiacciamo la mattinata, pensava Stefa­no, ma a questo punto, bisognava avere molta pa­zienza.
Dopo una ventina di minuti di attesa, la Marta aveva le cascaggini sul suo seggiolino. Stefano si rese conto del fatto che i numeri che stavano chiamando erano at­torno al 50, e chiese informazioni. Un tipo anziano e grigiastro gli comunicò che l'ambulatorio garantiva di fornire il servizio solo fino al numero 80, e che tutti i successivi potevano aspettare, ma con ogni probabilità se ne sarebbero dovuti tornare a casa.
«Mi scusi ma lei che numero ha?».
«Io ho il 61 ma ho dovuto fare la coda stamattina, è dalle 6 che sono qui, c'è un fogliolina sulla porta dove chi arriva si mette in lista».
Stefano si avventò allo sportello dove stavano accettan­do una signora incinta col numero 52.
«Guardi, mia madre ha avuto un ictus, non può mica stare qui delle ore».
«Ma lei che numero ha?».
«Abbiamo il 112».
«Eh, guardi, noi non accettiamo più di ottanta persone, c'è anche scritto là, lo vede l'avviso?».
Sul muro c'era un foglio A4 con una stampata laser che riportava «LA STRUTTURA SANITARIA GARANTISCE IL PRELIEVO AD ALMENO LE PRIME 80 RICHIESTE IN MAT­TINATA».
«Ma mia madre non è in condizione... ma come si deve fare... posso parlare con un responsabile?». Nessun responsabile era presente, al momento. Stefano era completamente alterato, ma uno stuolo di persone in attesa gli si faceva attorno.
«Guardi che noi siamo qui dalle cinque e mezzo, non lo sapeva?».
«Crede che stiamo qui per divertirci?».
«Anch'io ho avuto un ictus, e sono qui in coda come tutti gli altri...».
«Torni domani, e si metta in coda pure lei...». Stefano voleva rivoltare le file di seggioline, cominciò a picchiare le mani sul piano di formica, una dipenden­te fece il cenno di andarsene via.
Partì una raffica di invettive, contro Stefano: «Ma guarda questo, arriva qui e pensa di passare avanti, chiamate i vigili... », e contro il capo infermiere che eb­be il coraggio di presentarsi.
«Calma, calma, che sta succedendo?».
Una cinquantina di persone si stava accalcando davan­ti allo sportello, l'impiegata si era chiusa nel retro, im­paurita, tutte le operazioni di accettazione erano bloc­cate, dalle stanzette di prelievi uscivano le infermiere scocciate. «Insomma, non ci sono altri numeri?».
Stefano protendeva un braccio dentro lo sportello, brandiva i certificati, la dimissione dall'ospedale, la gra­vità della situazione.
«Se la signora non è in grado di venire qui all'ambula­torio può fare richiesta di un prelievo a domicilio, non lo sapeva?».
«Ma chi lo deve fare?».
«Il medico curante, no? E chi vuole che lo debba fare».
«Ma non l'ha fatto, e ormai siamo qui».
Stefano stava rischiando di essere linciato, mentre la Marta vacillava sulla sua seggiolina.
Stefano cominciò a inveire e a fare una piazzata, ac­campava diritti, urlava, il capo infermiere sembrò quasi sul punto di dargli retta e di far passare avanti la Marta. Gli altri anziani si scatenarono contro di lui, ci fu una sorta di insurrezione, urla e principio di rissa, tutti cercavano di entrare nell'ufficietto, ci fu ressa e paralisi.
Per una buona mezz'ora gli sportelli di accettazione non poterono procedere nel loro lavoro. Gli anziani erano furibondi.
«Sei un pezzo di merda!» urlavano a Stefano. «Chia­miamo ì vigili!». «Sono vent'anni che ho il diabe­te!». «Io devo fare la curva!». «Questo è il paese dei furbi, ma io li metterei tutti al muro...».
 
Alle 9.30 l'infermiere capo chiamò Stefano e gli disse di far passare la Marta, boccheggiante, nella stanzina del prelievo.
L'infermiera non trovava la vena, ebbe a lamentarsi: «Io qui non ci posso fare niente».
Dopo tre o quattro tentativi riuscì a rintracciare il vaso e prelevò.
Faticosamente Stefano riportò la Marta sul furgone, con una sorpresina, lo specchietto retrovisore era sta­to divelto. 245 euro.
Stefano era furioso con sua madre, con tutti, e dopo questo bagno regressivo di Vecchiaia e di Discordia, si ributtarono nel caos del traffico, completamente paralizzato. Raggiunsero la casa a San Bartolo che erano le undici e mezzo. Fra trovare un buco per la macchina, far scendere la mamma e portarla nell'appartamento si era fatto mezzogiorno. C'era da cambiare la mamma e preparare il pranzo.






(Brano tratto dal romanzo Prenditi cura di me, Sellerio editrice, Palermo, 2010.)




Francesco Recami
Francesco Recami (Firenze, 1956) ha pubblicato, tra l’altro, L’errore di Platini (2006), Il correttore di bozze (2007) e Il ragazzo che leggeva Maigret (2009).




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