CON HOWL CI SONO CONVISSUTO E NE HO TRATTO PIACERE Allen Ginsberg
Con Howl ci sono convissuto e ne ho tratto piacere per tre decenni. È diventato uno spartiacque politico e sociale, famigerato nel peggiore dei casi e illuminante nel migliore, più recentemente è stato tradotto nei paesi dell’Europa dell’Est, nell’Unione Sovietica ed in Cina, paesi nei quali era stato censurato. Sembrerebbe utile in questo quarto decennio dell’uso di questo poema chiarirne il retroterra letterario e le implicazioni storiche come pure le intenzioni dell’autore. Pochi sono stati gli scrittori che hanno avuto l’opportunità di esporre le proprie idee su un loro testo diventato celebre. Di solito queste cose vengono fatte alla tenue luce di una lampada nello studio di un qualche studioso accademico, come, ad esempio, l’interessante e difficoltoso lavoro del Sig. J. Livingstone Lowe sulle “Rime” di Coleridge. Oppure le laboriose spiegazioni di Wordsworth sulle proprie edizioni. Whitman fece una iniziale recensione della propria raccolta “Leaves” in modesto anonimato, nel contesto di una società letteraria generalmente ostile o indifferente. Più tardi, per un pubblico più empatico, espose la propria intenzione attraverso diverse prefazioni uniche per comprendere dove credeva di aver centrato o mancato il suo stesso obiettivo. Tuttavia lascio avventurare la mia intelligenza, né modesta né immodesta, per il pubblico in generale, gli amanti della poesia, gli studiosi, gli artisti d’avanguardia e le future generazioni di giovani ispirati.
“Howl” si appella alla tradizione segreta o ermetica dell’arte “che giustifica” o “compensa” la sconfitta su questa terra, fa appello al riconoscimento di un
Amore non di questo mondo
che nel mondo
non spera
e che
il mondo non può cambiare
secondo le sue brame –
dopo la desolazione
come se la terra fossero i nostri piedi
come fossero
l’escremento di un qualche cielo
e noi prigionieri degradati
destinati
alla fame fino a cibarsi di sporcizia1
Così William Carlos Williams fa appello all’aspetto “immaginifico” dell’arte per rivelare il nostro sottostrato naturale più profondo: l’amore, senza speranza e tuttavia sempre presente e inalterabile nel cuore. (“love is not love/Which alters when it alteration finds—l’amore non è amore/ che muta quando trova mutamento”) L’amore terreno, concetto astratto incarnato anche nelle situazioni più difficili da Carl Solomon, sorgeva da un amore filiale primordiale verso mia madre, a quel tempo angosciata. Nei casi in cui l’amore verso la madre è in conflitto con la facciata sociale, sin dall’antichità il dado è tratto a favore dell’empatia.
Bloccato dalle apparenze, l’amore si libera nel libero gioco dell’immaginazione, il mondo dell’arte, il campo dello spazio in cui l’Apparenza – riconoscimento naturale della tragedia sociale e del fallimento del mondo—dimostra meno facoltà di sentire che l’espansività del cuore, originariamente compassionevole.
È nella poesia, come afferma William Carlos Williams che ricostruiamo il mondo perduto. I versi finali di parte I di Howl incarnano varie arti che ricostruiscono la nostra originaria “petite sensation” di “Pater Omnipotens Aeterne Deus”.
Le tattiche dell’arte classica catalogate in quel testo suggeriscono un umorismo sagace che protegge dal caos la nostra empatia dirompente. Si tratta del riconoscimento oggettivo dell’emozione.
“Howl” fu scritto in una camera ammobiliata ubicata al 1010 Montgomery, qualche porta più avanti dell’incrocio con la Broadway, nel quartiere di North Beach, vicino al limitare con il distretto finanziario. Qualche settimana prima mi ero licenziato da un lavoro con modeste mansioni dirigenziali in un istituto di ricerca, mi ero trasferito nell’appartamento di un amico appena conosciuto Peter Orlovsky, ma poiché lui era ritornato per l’estate a Long Island a far visita ai suoi familiari, mi trovavo da solo nell’appartamento. Per i prossimi sei mesi avevo a disposizione il tempo libero garantito dagli assegni della disoccupazione, avevo concluso un periodo di sei mesi di psicoterapia2, ricevo occasionali visite dal mio vecchio amico Neal Cassady, che a quel tempo faceva il frenatore per la Southern Pacific Railroad, e ruscivo a mantenere un’energica corrispondenza con Jack Kerouac a Long Island e William Burroughs a Tangeri.
Di recente avevo sognato Joan Burroughs, a quell’epoca già deceduta, un incontro simpatico con il suo spirito. Lei mi chiese di quello che stava accadendo ai nostri amici vivi. Scrissi questo sogno in una poesia (Dream Record: June 8, 1955) e dopo qualche giorno ricevetti da Kenneth Rexroth, uno degli “anziani” nella sua città letteraria, una critica in cui mi diceva che pensava la poesia fosse ampollosa e un po’ accademica. Una settimana dopo, me ne stavo seduto oziando alla mia scrivania accanto alla finestra del primo piano che dava sulla discesa di Montgomery Street verso la “gaia” Broadway – solo a qualche isolato dalla libreria City Lights, una delle prime a vendere edizioni economiche di opere letterarie. Avevo una macchina da scrivere di seconda mano, e della carta per appunti poco costosa. Iniziai a battere i tasti, non con l’idea di scrivere formalmente una poesia, ma di dichiarare a chi andavano le mie simpatie dell’immaginazione, per quanto potessero valere. Poiché i miei amori erano privi di senso pratico e i miei pensieri relativamente fuori da questo mondo, non avevo niente da guadagnare, solo il piacere di godermi su carta queste simpatie più intime a me stesso e più scomode per il grande mondo della famiglia, dell’istruzione formale, degli affari e della letteratura contemporanea.
Ciò che scrissi quel pomeriggio non era stato concepito come una poesia da pubblicare e costituisce la prima parte di “Howl”. Le parti successive furono scritte a San Francisco e nella casetta di Berkeley alcuni mesi dopo, con l’idea, invece, di completare una poesia.
Pubblicando “Howl” ero curioso di lasciare alle generazioni successive una bomba a orologeria che continuasse ad esplodere nella coscienza statunitense nel caso che il nostro complesso militare- industriale-nazionalista si fosse solidificato in uno stato poliziesco burocratico e repressivo. Un’ulteriore ambizione era quella di disseminare una una poesia talmente forte che una pulita parola Sassone di quattro lettere [ndt: clean in contrasto alle dirty words, ossia le parolacce quasi sempre costituite da 4 lettere] potesse entrare permanentemente nelle antologie delle High school deflagrando le tendenze verso soppressioni autoritarie (che erano state evidenti negli attacchi neoconservatori contro la prosa profondamente sentita di Kerouac e l’umorismo poetico di Burroughs).
Con questo Urlo rimango e mi dichiaro vostro schiavo, ancora vivo, etc.
L’autore
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NOTE:
1 - William Carlos Williams, “Rain” tratto da Collected Poems 1909 -1939, Volume I, 1938.
2 - Ginsberg aveva iniziato le sedute con lo psicoterapeuta Philip Hicks al Langley-Porter Institute. Secondo la testimonianza dello stesso Allen, ad un certo punto della terapia, ci fu il seguente dialogo: Che cosa vorresti fare?”, chiese il dottore, “Che cosa desideri veramente?” Io replicai, “Dottore, non credo che troverà questa mia risposta molto sana e chiara, ma in verità vorrei smettere di lavorare per sempre – non lavorare mai più, mai più fare il tipo di lavoro che ho fatto fino adesso – e non fare altro che scrivere poesia e avere tempo libero da passare all’aperto, andare a vedere musei e visitare gli amici. Vorrei continuare a vivere con qualcuno --forse anche un uomo—ed esplorare i rapporti in questo modo. E coltivare le mie percezioni, l’aspetto visionario che c’é in me. Solo un’esistenza letteraria e da eremita urbano”. Allora il dottore mi disse, “Ebbe’, perché non lo fai?” Ginsberg discute di questo incontro chiamandolo The Great Breakthrough (la Grande Rivelazione). L’accettazione da parte del dottore dei desideri poco convenzionali di Ginsberg incoraggiarono lo scrittore ad accettare sé stesso come pure i suoi maldestri tentativi di soddisfare i suoi insegnanti e suo padre, il poeta Louis Ginsberg – tutti elementi che contribuirono a generare il tempo e lo spazio che permisero la scrittura di “Howl”.
(Versione italiana del saggio di Allen Ginsberg “I’ve Lived with and Enjoyed “Howl”, pubblicato nel 1986 in “Howl: Original Draft Facsimile, Transcript and Variant Versions, Fully Annotated by the Author”, edited by Barry Miles e ripubblicato nella raccolta di saggi “Howl” Fiftly Years Later, a cura di Jason Shinder, Farrar, Straus and Giroux, New York , 2006, pagg 143-7) Allen Ginsberg (1926 – 1997) è stato uno dei più importanti poeti della beat generation statunitense.
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