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Sagarana CHICO MENDES E L’AMAZZONIA


Un sindacalista a difesa della natura


Gianni Alioti


CHICO MENDES E L’AMAZZONIA



 

“Ho coscienza che tutti i leader dei movimenti popolari in que­sti ultimi dieci anni – avvocati, padri religiosi, leader sindacali – tutti loro siano morti lo stesso, nonostante le garanzie del governo. Non c'è bisogno di citare esempi, giacché loro sono vivi nella memoria di tutti. Ho la speranza di continuare vivere. È vivendo che la gente rafforza questa lotta. Da parte del governo dello Stato non ho motivo di temere. Al contrario. Ora, dall'altra parte, ho davanti due nemici potenti: l'União Democrática Ruralista1 e la polizia federale dell'Acre” (Chico Mendes).
 
Nonostante le denunce, le richieste di protezione da parte di entità ambientaliste, personalità politiche e dirigenti sindacali, nonostante il governatore dello Stato dell'Acre, Flaviano de Melo, avesse assegnato due agenti della polizia militare per la sua sicurezza, Chico Mendes fu assassinato ventitre anni fa, il 22 dicembre 1988. Era prima di cena quando, uscendo nella veranda sul retro della sua casa di Xapuri, fu colpito al torace da una pallottola calibro 22. Chico Mendes era tornato da poco a casa per passare il Natale insieme alla sua famiglia.2
Chico dopo tante minacce e diversi attentati aveva più di un presentimento. Negli ultimi mesi erano cresciute le intimida­zioni e le violenze contro il movimento dei seringueiros, i raccoglitore di cauciù nella foresta. II 26 maggio di quell'anno, durante una manifestazione a Xapuri, due giovani seringueiros furono feriti da due persone che spa­rarono da una motocicletta in corsa. Furono identificati, grazie ad alcune testimonianze, come Darli e Alvarino Alves da Silva, ma non seguì alcuna inchiesta da parte della polizia per ap­purare le responsabilità. Il 17 giugno, il dirigente del sindacato rurale di Xapuri e candidato al consiglio comunale per il PT, Ivair Higino de Almeida, fu assassinato. Tra i sospettati i nipo­ti del fazendeiro Darli Alves da Silva; ma anche in questo caso l'inchiesta non portò all'arresto degli autori del crimine. Nel mese di settembre due seringueiros del movimento furono uc­cisi in due diverse zone della foresta e tra i sospettati c'erano figli e parenti prossimi dei fazendeiros Darli e Alvarino.
Uno degli ultimi empates3 realizzati da Chico Mendes, con l'obiettivo di impedire la deforestazione fu nel seringal Equa­dor, la cui proprietà era rivendicata proprio dal fazendeiro Darli Alves, allo scopo di destinare l'area a pascolo dopo averla disboscata. Ma l'uccisione del leader sindacale era da tempo pianificata ai livelli alti dell'União Democrática Ruralista con coperture politiche e istituzionali. L'azione dei seringueiros – grazie al ruolo di Chico Mendes –non era più un fatto isolato. Con il sostegno della Central Única dos Trabalhadores (la CUT, la maggiore centrale sindacale brasiliana) e dei movi­menti ambientalisti a livello internazionale, si contrapponeva agli enormi interessi economici legati sia alla grande proprietà fondiaria in Amazzonia e ai suoi progetti di sviluppo dell'alle­vamento bovino, sia all'estrazione del legname da parte d'im­prese locali al servizio di multinazionali straniere.
Chico Mendes, nel mese di novembre, aveva denunciato per iscritto al giudice della circoscrizione e alla polizia federale che i fazendeiros Darli Alves da Silva e il fratello Alvarino erano responsabili dell'omicidio di Ivair Higino e di minacce alla sua vita. Oltre a queste accuse, Chico Mendes aveva fatto pervenire alle autorità dell'Acre una richiesta di arresto per Darli Alves, accusato di aver ucciso nel 1973 l'agente immobi­liare Acir Urizzi, nella città di Umuarama nel Paraná. La vec­chia richiesta di arresto, spedita il 26 settembre dalla magistratura paranaense alla polizia federale dell'Acre, era stata occul­tata. La stessa polizia militare era a conoscenza delle collusio­ni tra gli squadroni della morte, comandati dai fratelli Alves – appoggiati dall'UDR – e il delegato della polizia federale nell'Acre, Mauro Spósito.
La sera del 22 dicembre 1998, esattamente una settimana dopo aver compiuto quarantaquattro anni, Chico Mendes fu vi­gliaccamente assassinato. Si trattò di una morte annunciata per tutti coloro che conoscevano bene il leader sindacale di Xapuri, da pochi mesi eletto nell'esecutivo nazionale della CUT.
Lo stesso Chico Mendes – il 6 dicembre 1988 in un seminario organizzato dall'Università di San Paolo – aveva pronun­ciato il celebre discorso che termina dicendo: “Non voglio fio­ri sulla mia tomba, perché so che andrebbero a strapparli alla foresta. Voglio solo che la mia morte serva per mettere fine all'impunità dei jagunços,4 che possono contare sulla protezione della polizia federale dell'Acre e che, dal 1975 in avanti, hanno già ammazzato nella zona rurale più di cinquanta persone come me, leader seringueiros impegnati a salvare la foresta amazzonica e dimostrare che il progresso senza distruzione è possibile. Addio, è stato un piacere. Vado a Xapuri incontro alla morte, giacché da lei nessuno mi libera”.
L'autore dell'attentato, Darci Alves Pereira, figlio del fazen­deiro Darli Alves si consegnò, quattro giorni dopo, alla polizia, confessando il crimine. Solo la grande indignazione sollevata dalla morte di Chico Mendes a livello nazionale e internaziona­le contribuì a far sì che il fazendeiro Darli Alves e il figlio Darci fossero arrestati, l'uno come mandante, l'altro come esecuto­re dell'omicidio e condannati a diciannove anni di reclusione. Ma nel febbraio 1993 gli Alves fuggirono di prigione, potendo contare sulla collaborazione della polizia incaricata di sorvegliarli. Darli si nascose in un insediamento rurale dell'INCRA5 nell'interno del Pará arrivando a ottenere – sotto falsa identità – persino un finanziamento della Banca dell'Amazzonia. Fu catturato nuovamente solo nel giugno del 1996.
Darli, però, non era l'unico mandante dell'assassinio di Chi­co Mendes. Dietro agli Alves c'erano fazendeiros dell'UDR più importanti e potenti, come João Branco (fuggito dall'Acre su­bito dopo l'attentato sostenendo che il PT6 e la CPT7 volevano ucciderlo) e Adalberto Aragão ex sindaco di Rio Branco. Così come appare esplicita la complicità dell'allora sovrintendente della polizia federale dell'Acre, delegato Mauro Spósito, che non fu nemmeno sospeso dal servizio.
È per queste ragioni che Sebastião Lopes Neto, in quegli anni membro dell'esecutivo nazionale Cut e compagno di Chico Mendes nella stessa corrente sindacale, Cut pela base, caldeggia la riapertura dell'inchiesta per arrivare a giudicare tutti i responsabili della morte del leader seringueiro. Stessa cosa andrebbe fatta per l'uccisione di numerosi attivisti sinda­cali, tra cui quella emblematica di Wilson Pinheiro, al quale spararono alla schiena – insieme ad altri due membri del diret­tivo – nella notte del 21 luglio 1980, mentre ancora si trovava nella sede del sindacato dei lavoratori rurali di Brasiléia. La cosa servirebbe per dimostrare a tutti che “il male che si fa può essere pagato qui in terra”!
Diversi frammenti di documentazione postuma, oltre che testimonianze, dimostrano che Chico Mendes era pienamente consapevole che i fazendeiros volevano sbarazzarsi di lui alla svelta per ridurre al silenzio il movimento. La stessa sorte era toccata – prima di lui – a Wilson Pinheiro, primo sindacalista alla guida dei seringueiros, del quale Chico aveva raccolto il testimone.
L'estrema sfida, in contrasto con la sua voglia di vivere, con cui Chico Mendes va incontro alla morte, fa di lui una persona straordinaria9. Come ha scritto il giornalista brasiliano Zuenir Ventura, autore del libro Chico Mendes: crime e casti­go, “egli non ha bisogno di essere idealizzato; al contrario, quanto più umano è, più importante è. Fu un leader e un marti­re che scelse di morire. Avrebbe potuto andarsene dall'Acre, venire nel sud-est del Brasile, andare negli Stati Uniti o in Eu­ropa, ma scelse di restare per morire. In questo senso fu un martirio L...] offrire la vita in sacrificio per un'idea, credendo che questo avrebbe invertito una situazione sfavorevole. In questo senso egli fu il primo martire brasiliano dell'ecologia”.
L'assassinio del sindacalista della CUT fu il punto di parten­za di molti cambiamenti avvenuti nel paese. Le idee di Chico Mendes sono molto più attuali oggi di quando egli era vivo. Sul piano politico-istituzionale, dopo diversi anni dalla sua morte, Julio Barbosa, ex leader seringueiro e suo discepolo, è stato eletto sindaco di Xapuri e l'altro discepolo Raimundo Barros (o Raimundão) consigliere comunale; Jorge Viana in­gegnere forestale – che associò la sua militanza politica e am­bientale alle idee di Chico Mendes – è stato eletto prima deputato federale e poi governatore dell'Acre; Marina Silva serin­gueira acreana – che non sapeva leggere fino a sedici anni e fece delle idee e della causa portata avanti da Chico un motivo per studiare, vivere e lottare – è diventata senatrice ed è stata ministro dell'ambiente dal gennaio 2003 al maggio 2008 e candidata a Presidente del Brasile nel 2010 ricevendo quasi il 20% del totale dei voti; infi­ne il sindacalista metalmeccanico e amico personale Luiz Inácio Lula da Silva – con il quale Chico aveva fondato il PT nell'Acre – è diventato presidente della Repubblica nel 2002 e ha governato il paese per otto anni.
Questo non significa che i conflitti sociali, economici e am­bientali, che hanno come posta in gioco la delimitazione e la gestione del territorio amazzonico, siano d'incanto superati. Per il grande capitale brasiliano e transnazionale (industrie mi­nerarie e del legname, imprese di agro-business e grandi latifondi per l'allevamento di bovini) il territorio amazzonico continua e continuerà a essere una frontiera di sfruttamento, di accumulazione e riproduzione di risorse. Per i popoli della fo­resta, cioè gli indios, i ribeirinhos,10 i seringueiros, il territorio amazzonico continuerà a essere non solo il luogo di produzio­ne di risorse per la loro sopravvivenza, ma un luogo identifica­to con valori culturali, uno spazio di costruzione sociale, di re­lazioni umane e di un'etica della natura. È evidente che queste diverse visioni continueranno a essere tra loro in tensione e motivo di conflitti11.
Ma per pochi che sembrino i risultati, e nonostante il con­cetto di sviluppo in Amazzonia per molti sia ancora sinonimo di disboscare, bruciare, radere al suolo, ammazzare, è indub­bio che nell'ambito del dispiegarsi di questo durissimo conflit­to, l'ascesa sul piano politico di persone che hanno camminato insieme a Chico, condividendo con lui il carcere e la speranza, le dolorose sconfitte e le sofferte vittorie, hanno fatto in questi anni la differenza. Se non altro ci sono state maggiori sensibi­lità e disponibilità alla demarcazione delle terre indigene e alla creazione delle riserve estrattive, le principali rivendicazioni per cui Chico Mendes ha sacrificato la vita e che, ancora oggi, rappresentano l'obiettivo prioritario per salvare quel che resta della foresta nativa e dei suoi popoli, come ci ricorda don Er­win Kräutler, vescovo del Xingu e presidente del Consiglio in­digenista missionario (CIMI).
Zuenir Ventura nel suo libro Chico Mendes. Crime e casti­go ha scritto: “mai uno sparo in Brasile ebbe un'eco così lon­tana”. Certo sarebbe stato infinitamente meglio che i governi e le polizie, cui Chico tanto insistentemente aveva denunciato i piani per ammazzarlo, avessero avuto la decenza di evitare questa morte annunciata. Ma quello che nessuno riuscì a evitare fu che un timore di Chico – più volte ripetuto – fosse smen­tito nel tempo. “Se scendesse un inviato dai cieli e mi garantis­se che la mia morte rafforzerebbe la nostra lotta, ne varrebbe la pena. Ma l'esperienza ci insegna il contrario. Allora io voglio vivere. Cerimonie pubbliche e funerali con molta gente non salveranno I'Amazzonia. Voglio vivere!”, disse al reporter Edilson Martins, nell'ultima intervista, rilasciata il 9 dicembre e pubblicata nel “Jornal do Brasil” il 24 dicembre 1988, due giorni dopo la sua morte.
Chico Mendes meritava di vivere, ma la sua lotta sindacale a difesa della foresta amazzonica e dei popoli che l'abitano – è duro dirlo – riuscì a rafforzarsi con la sua morte. Chico Mendes – realmente – non è morto invano.
 
 
NOTE:
1 È l'associazione dei proprietari terrieri in Brasile.
2 Una settimana prima di Natale. Chico Mendes a Rio de Janeiro per partecipare al seminario internazionale di tre giorni «Amazônìa ferro e fogo», fu con­sigliato dall'avvocato consulente del Cren (Conselho Nacional dos Seriagueiros) a non rientrare in Acre. Chico rifiutò decisamente l'invito, sostenendo che pas­sare le feste a Rio e non essere là con la sua gente per il Natale e la fine d'anno sarebbe stato un atto di cedimento e un segnale di rinuncia e sconfitta.
3 Empate in portoghese significa letteralmente «pareggio» È il nome dato alla forma di azione diretta non violenta avviata dalla metà degli anni Settanta dai seringueiros organizzati nel sindacato dei lavoratori rurali di Brasiléia crea­to nel 1975, il cui presidente era Wilson Pinheiro, mentre Chico Mendes era se­gretario generale. L'empate consisteva nel presidiare, coinvolgendo anche donne e bambini, le aree forestali soggette a essere disboscate e destinate a pascolo per l'allevamento di bovini. Pacificamente, usando come armi solo i loro corpi, i seringueiros e le loro famiglie impedivano l'azione delle motoseghe e proteg­gevano gli alberi da cui estraevano il frutto del loro lavoro.
4 Pistoleri, sicari al soldo deifazendeiros o dell'industria del legname.
5 L'istituto Nacìonal de Colonização e Reforma Agrária.
6 Partido dos Trabalhadores, il partito dei lavoratori fondato in Brasile da Lula e José Ibrahim nel 1980.
7 Commissione pastorale della Terra.
8 Intervista rilasciata nel 2003 da Sebastião Lopes Neto a Radio Nacional Amazônia.
9 Come scriveva Tucidide, stratega della flotta di Atene nella guerra conti, Sparta, «i più coraggiosi sono coloro che hanno la visione più chiara dì ciò che li aspetta, così della gloria come del pericolo, e tuttavia l'affrontano.
10 Popolazioni native che vivono lungo le rive dei fiumi. Chiamati caboclos, sono discendenti del meticciato tra i primi coloni portoghesi e gli indios della re­gione.
11 Nella deforestazione dell'Amazzonia c'è una “logica illogicità” il cui unico obiettivo à il profitto attraverso attività primarie (taglio di legname, alle­vamento bovino, produzione di soia) che non incorporano innovazione scientifi­ca né tecnologica se non per la sperimentazione di colture geneticamente modi­ficate. Anche in questo caso possiamo utilizzare le parole di Pier Paolo Pasolini, quando scriveva - pur in un altro contesto - che dietro a una certa idea di svilup­po c'è in realtà “un mezzo di spaventoso regresso, uno sviluppo appunto senza progresso, di genocidio culturale” e, possiamo aggiungere, di genocidio etnico, oltre che di distinzione della biodiversità.






(Introduzione del saggio “Chico Mendes – Un sindacalista a difesa della natura”. Edizione Lavoro, Roma, 2010.)




Gianni Alioti
Giani Alioti, responsabile dell’Ufficio Internazionale della FIM CISL. ha vissuto alcuni anni in Brasile. Nel suo lavoro sindacale si occupa anche di ecologia e ambiente.




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