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Sagarana MIZZI


Brano tratto dal romanzo Doppio sogno


Arthur Schnitzler


MIZZI



 

(…) A un tratto Fridolin, superata ormai la sua meta, si trovò in una stradina in cui si aggiravano solo alcune squallide prostitute a caccia notturna di uomini. Che atmosfera spettrale, pensò. Anche gli studenti dai berretti blu divennero improvvisamente spettrali nel ricordo, così pure Marianne, il fidanzato, lo zio e la zia, che ora immaginò tenersi per mano attorno al letto di morte del vecchio consigliere; anche Albertine, che gli apparve immersa in un sonno profondo, le mani incrociate dietro la nuca – persino la bambina, che a quell’ora dormiva raggomitolata nel lettino bianco, e la governante dalle guance rubiconde con la voglia sulla tempia sinistra – tutti si erano trasformati ai suoi occhi in figure assolutamente spettrali. E sebbene quella sensazione lo facesse un po’ inorridire, gli trasmetteva però, allo stesso tempo, una certa calma che sembrava liberarlo da ogni responsabilità, e addirittura svincolarlo da ogni rapporto umano.
Una delle passeggiatrici lo invitò ad andare con lei. Era una creatura graziosa, ancora molto giovane, pallidissima, le labbra tinte di rossetto. Anche un’avventura potrebbe concludersi con la morte, pensò, solo che la fine non sarebbe tanto rapida! Di nuovo la viltà? In fondo sì. Sentì alle sue spalle i passi della donna e poi la sua voce. “Allora andiamo, dottore?”.
Si voltò involontariamente. “Come fai a conoscermi?” chiese.
“Non la conosco” disse “ma in questo quartiere sono tutti dottori”.
Non aveva avuto a che fare con una donna del genere dagli anni del liceo. L’eccitazione che quella creatura gli procurava aveva forse il senso di un improvviso ritorno all’adolescenza? Si ricordò di un conoscente occasionale, un giovane elegante che si diceva avesse un’enorme fortuna con le donne, col quale, da studente, aveva trasforso qualche ora in un locale notturno al termine di una festa da ballo; questi, prima di allontanarsi con una delle entraîneuses, al suo sguardo alquanto meravigliato aveva replicato con le parole: “In fondo è sempre la cosa più comoda; – e non sono neanche peggiori di tante altre”.
“Come ti chiami?” chiese Fridolin.
“Beh, come vuoi che ci chiamiamo noi? Mizzi, naturalmente”. Aveva già girato la chiave nel portone di casa, era entrata e aspettava che Fridolin la seguisse.
“Svelto!” disse, poiché egli esitava. A un tratto Fridolin si trovò vicino a lei, il portone si serrò alle sue spalle, la ragazza chiuse a chiave, accese una piccola candela e gli fece luca. “Sono pazzo?” si chiese. “Naturalmente non la toccherò”.
Nella stanza ardeva una lampada a olio. La donna alzò il lucignolo, era un ambiente molto accogliente, ben tenuto, e comunque si sentiva un odore più gradevole che in casa di Marianne, per esempio. Certo – lì dentro non era stato a letto un vecchio ammalato. La ragazza sorrise, si avvicinò con discrezione a Fridolin, che l’allontanò dolcemente. Poi gli indicò una sedia a dondolo in cui si abbandonò con piacere.
“Devi essere molto stanco” disse. Egli annuì. E mentre si spogliava senza fretta, la ragazza aggiunse:
“Si capisce, un uomo come te, chissà quanto avrà da fare tutto il giorno. Per una di noi la vita è certo più facile”.
Fridolin si accorse che le sue labbra non erano per nulla truccate, ma colorite di un rosso naturale e le fece un complimento.
“Perché dovrei truccarmi?” domandò. “Quanti anni credi che abbia?”.
“Venti?” tirò a indovinare Fridolin.
“Diciassette” rispose, si sedette sulle sue ginocchia e gli cinse la nuca con il braccio come una bambina.
Chi mai al mondo potrebbe supporre che mi trovo in questa stanza? egli pensò. Io stesso l’avrei forse ritenuto possibile un’ora, dieci minuti fa? E – perché? Perché? Lei cercò di baciarlo sulle labbra, lui si tirò indietro; la donna lo guardò meravigliata, un po’ triste, e si lasciò scivolare dalle sue ginocchia. A Fridolin quasi dispiacque, perché quell’abbraccio esprimeva tanta consolante tenerezza.
La ragazza prese una vestaglia rossa che era appoggiata sulla spalliera del letto, se l’infilò e incrociò le braccia sul petto, nascondendo così del tutto il suo corpo.
“Va bene ora?” chiese senza scherno, quasi timida, come se cercasse di capirlo. Fridolin non sapeva bene cosa rispondere.
“Hai proprio indovinato,” disse infine “sono davvero stanco e trovo molto piacevole starmene sdraiato sulla poltrona a dondolo, semplicemente ad ascoltarti. Hai una voce così gradevole e dolce. Parla, raccontami qualcosa”.
La ragazza era seduta sul letto e scrollò il capo. “Hai solo paura” disse piano e poi tra sé, quasi sottovoce: “Peccato!”.
Quest’ultima parola suscitò in Fridolin un’improvvisa eccitazione. Si avvicinò a lei, volle abbracciarla, disse che gli ispirava piena fiducia, e forse era anche vero. L’attirò a sé, la corteggiò come si fa con una donna, con una ragazza amata. Ma lei si oppose, Fridolin si vergognò ed infine desistette.
Lei disse:
“Non si può mai sapere, una volta o l’altra toccherà anche a me. Fai molto bene ad aver paura. E se capitasse qualcosa mi malediresti”.
Rifiutò con grande decisione le banconote che le offrì ed egli non poté insistere oltre. La ragazza si gettò sulle spalle uno scialletto di lana blu, accese una candela, gli fece luce accompagnandolo giù e aprì il portone. “Ormai oggi resterò a casa” disse. Fridolin le prese la mano e istintivamente gliela baciò. Lei lo guardò sorpresa, poi rise imbarazzata e felice. “Come una signorina per bene” disse.
Il portone si chiuse alle sue spalle e Fridolin con una rapida occhiata si fissò in mente il numero della casa per poter inviare l’indomani vino e leccornie a quella povera, cara ragazza.




(Tratto dal romanzo Doppio sogno. Adelphi edizioni, Milano, 1977. Traduzione di Giuseppe Farese.)




Arthur Schnitzler
Arthur Schnitzler (Vienna 1862 – 1931) č stato uno scrittore molto amato dai lettori della Vienna del suo tempo. Medico di professione, l’autore ha scritto, tra l’altro, Amoretto, La strada solitaria, Casanova a Spa e Fuga nelle tenebre. Da Doppio sogno il regista Stanley Kubrick ha tratto la sceneggiatura del suo ultimo film, Eyes Wide Shut.




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