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Sagarana CARNE E ALTRI CIBI NUTRIENTI


Brano tratto dal romanzo Bubu di Montparnasse


Charles-Louis Philippe


CARNE E ALTRI CIBI NUTRIENTI



 

(…) Pierre giunse per primo e la vide arrivare. Aveva un cappello di paglia bianco e i capelli neri raccolti in un gran nodo mettevano in risalto il pallore del viso, di una dolcezza imprevista. Guardandola, Pierre si sentì in qualche modo orgoglioso: avrebbe voluto portarsela al braccio, e che gli amici lo vedessero. Disse:
« Cara piccola amica, sono contento che tu sia venuta. » Lei aveva un sorriso da povera puttanella, uno di quei sorrisi che si servono a chi paga. Rispose:
« Davvero? »
La sera era dolce, ventilata. Una brezza scendeva la Senna come un rivolo d'acqua c pareva inseguire le foglie. Le ombre degli alberi oscillavano lievemente sopra i pas­santi, parlavano alle loro anime con turbamenti leggeri. Tutto dava una tale quiete da innamorare. La Senna, il cielo, i veicoli splendevano mitemente e il lungofiume, con i suoi alberi, pareva un viale dove camminare in pace e solitudine.
Pierre disse:
« Andiamo a fare un giretto. »
«Se vuoi,» rispose lei. « Tanto non ho fretta.» Presero per il quai de la Mégisserie. Pierre diceva:
« Ti ho vista arrivare, con il tuo passettino. Fai guizzare le gambe sotto la gonna, sculetti un poco, e sorridi con un'aria tanto dolce! Si capisce che hai un buon carattere. Ti avrei riconosciuta fra mille eppure è appena la seconda volta che ci incontriamo: ma mi sembra di conoscerti ormai tutta. »
« È carino quel che mi dici, » rispondeva lei. " Anche noi preferiamo andare con chi conosciamo già.»
Camminavano a braccetto, si parlavano con gli occhi negli occhi. « Dobbiamo sembrare due innamorati,» pen­sava Pierre. Quella ragazza sottile e flessibile non era diver­sa dalle donne che s'incontrano per la strada, a fianco di uomini che le tengono per la vita. Quando è sera ed esse appaiono, tutto il mondo si gonfia di desiderio. Signore, mandaci delle giovani donne come Berthe da baciare, e che i loro vent'anni accrescano il piacere di quei baci. Pierre non ricordava più che quel piacere gli sarebbe costato cinque franchi.
Poco più avanti dell'Hôtel de Ville, i due rami della Senna dopo aver contornato l'isola Saint-Louis si riuni­scono in un'unica larga corrente. La vena d'acqua fluiva, scorreva via sui riflessi delle luci e continuava il suo corso con un movimento placido e monotono. L'aria si cullava su di essa, con vapori smeraldini, fino alla punta malin­conica del quai Bourbon. Il mondo era calmo e marezzato come l'aria e l'acqua. I battelli tutti luce tagliavano la seta del fiume con movimento esatto. Innamorati trafitti dalle bellezze del mondo! Anche Pierre sentiva lo splendore scendergli fino in fondo.
« Come è bella la Senna, cara! »
Disse ancora:
« Guarda il cielo: ci sono laggiù due o trecento nuvo­lette rosse che mi danno la voglia di farti un complimento. Ho nel cuore due o trecento piccole emozioni che bruciano per causa tua.»
Lei sorrise e chiese :
« Che vuol dire quando il cielo è rosso come stasera?» Pierre rispose:
« Dalle mie parti dicono che sia segno di guerra. Ma io penso che noi due non ci faremo di certo la guerra.»
Camminavano adagio sul lungofiume dell'Hôtel de Vil­le, sentendosi l'uno accanto all'altra. I tram passavano via facendo: Uan! uan! come bestie feroci. Ma Pierre nean­che sentiva il loro frastuono, Berthe faceva in lui un suono ben diverso. Le case, in basso, parevano allontanarsi e i passanti sull'altro marciapiede non davano fastidio. Cam­minava accanto a Berthe con l'anima piena. Disse:
« Mi ricorda la mia cittadina. »
Non era vero ma era con una donna e voleva che sapesse qualcosa dei suoi gusti, della sua vita. Voleva aprirle il cuore, perché lei poi pensasse: Ecco un giovanotto dal cuore sensibile, che viene da una provincia piena di ombre e d'amore. Voleva attirarla a sé a furia di confidenze.
« Mi ricorda la mia cittadina. La casa dei miei è cir­condata da un gran giardino. A Parigi voi non sapete cosa sia un giardino. Ci si sta così bene, la sera! Si beve latte, si mangiano i polli d'allevamento. C'è un ruscello e un gran folto d'alberi. Ho un amico che dice: Sono verdi come la giovinezza e così freschi da far pensare che siano loro a dare il vento. Mia cara Berthe, ci baceremmo nei sentierini, ci siederemmo sul muschio e faremmo tutti i giochi che sai senza essere disturbati da nessuno. »
Lei diceva:
« Più in là di Clamart, non so neanche cosa sia la cam­pagna. Il dottore voleva che ci andassi per tre mesi, per via dell'aria buona. I dottori credono che si possa sempre fare tutto ciò che loro prescrivono.»
Lui disse ancora:
« Ecco, camminiamo tutti e due lungo il fiume, in silen­zio. Mi sento a mio agio quando sto con te: tu ti lasci condurre, ti abbandoni. Non sei come certe che vanno per le spicce e non vogliono neppure scambiare due parole. Con quelle lì, é bestiale. Si capisce troppo che lavorano e che sul lavoro non scherzano.»
E ripeteva:
«Con te, mi sento a mio agio. Stasera non parli malto ma parlo io, perché sono contento. Vedrai se non sono un buon figliolo e se non so fare alle ragazzine tutto il bene che si può fare. Ecco, le abbraccio così, per farle ridere, e sarei capace di amarle per tutta la vita, per renderle fe­lici. Ma tu, tu mi sei piaciuta subito. Hai la statura di mia sorella minore. Noi andiamo a spasso insieme e io le faccio le mie confidenze. Vorrei farle anche a te, perché sei gen­tile e di te si ha subito fiducia. Vorrei dirti tutto quello che conosco. A Parigi sono solo ma in fondo non mi sento infelice. Lavoro, scrivo a casa e loro mi rispondono. È mia madre che risponde. Non sa scrivere molto bene ma quan­do dice: Ti voglio tanto bene, Pierre mio, sento che una sua sola parola vale una frase intera.»
« Io, diceva Berthe, « ho perso la mamma a sedici anni. È morta mentre ero all'ospedale. Non hanno voluto farmela vedere. Io ero clorotica e questo non ha certo con­tribuito a farmi guarire. Mi dicevo: Adesso che mia madre é morta, proverò dolore. Non ho pianto per niente perché stavo troppo male, ma sentivo la sua morte in tutto il cor­po. Lei ci voleva bene. Qualche volta, il sabato, diceva: Su, ragazzi, offro il caffè. Scendevamo al bar, con Marthe e Bianche, le mie sorelle. I ragazzini giocavano sulla porta. Mi piaceva, perché c'era tanta gente. »
Poi disse:
« Rientriamo, vuoi? Altrimenti non potrò restare molto con te, debbo andarmene alle dieci. »
Fecero dietrofront. Pierre le lasciò il braccio per pren­derla alla vita e camminava stringendola contro di sé. Se l'avvicinava alla carne, come prima se l'era avvicinata al cuore. La toccava un po' dappertutto: sui fianchi ondeg­gianti, sulla vita flessibile che si piega e si allenta, sui seni delicati e già maturi di prostituta ventenne. La toccava un poco dappertutto, ma avrebbe voluto toccarla ancora di più; avrebbe voluto che fosse nuda e palparla, e baciarla per tutto il corpo e assaporarla. Il suo sangue scatenava dense ondate scarlatte e gonfiava i suoi sensi come frutti che stanno per scoppiare. Poco prima pensava di parlarle di Louis Buisson, di sua madre e delle sorelle perché la sua anima si travasasse in quella di Berthe. Ora al mondo c'era soltanto lei. Stava per baciarla sulla bocca e già il suo corpo esplodeva.
Ma Berthe non parlava. Non parlava, come avrebbe po­tuto?, della sua vita, dei suoi desideri. Ascoltava Pierre. Sgualdrinella gentile e agli inizi, pensava ancora con un certo intenerimento:
« Questo ragazzo ha buon cuore e parla come un innamorato. » Ma era impossibile sfruttare questo buon cuore per più di cinque franchi, tutta la som­ma che possedeva. Quanto all'amore, lei ne aveva fatto ormai troppo uso. Sapeva di che cosa é fatto l'amore, da quando lasciava che i maschi le corressero dietro, i maschi che sfruttano tutte le debolezze e saziano tutti i loro desideri. Sapeva che bisogna trasformare l'amore in denaro, perché l'amore è fatica e il denaro ristora. Questo Berthe lo sapeva già a vent'anni. Le donne che non conoscono la miseria cercano l'amore perché fa bene, ma le ragazze di vita cercano di ridurre al minimo l'amore dei loro clienti perché fa male. E Pierre, questo ragazzo appassionato, era per Berthe un uomo di più da subire.
Pensava a Maurice, al suo vestito, alle sue scarpe. La sera prima avrebbe dovuto pagare l'affitto della stanza. I pa­droni di casa non fanno credito alle donne di vita: biso­gnava pagare. Ma lei non poteva dargli i sette franchi, dal momento che ne aveva solo cinque. Il padrone aveva concesso una dilazione di ventiquattro ore per i quaranta soldi che restavano ma, beninteso, se non pagava non sa­rebbe rientrata in camera. Così, a mezzogiorno, avevano mangiato qualche avanzo del giorno prima; a sera, lei non aveva mangiato affatto. « Sei una stupida che non sarà
mai capace di lavorare, » diceva Maurice. Berthe non aveva fame: nelle famiglie numerose gli stomachi dei ragazzini diventano elastici e possono contrarsi senza far male. Tut­tavia ora avrebbe voluto mangiare, carne e altri cibi nu­trienti, per compensare lo sfinimento dell'amore e delle notti in bianco. E Pierre invece non le serviva altro che parole! Lei non se ne lagnava, ci sono tanti clienti volgari! Certo avrebbe anche potuto dirgli tutto, ma temeva che sottraesse dai cinque franchi il prezzo del pranzo. Si contentò di pensare: Stasera non ho mangiato, é una bella scocciatura.
Eppoi c'era il vestito con la gonna malconcia e il cor­petto scolorito. Al Carreau du Tempie si trovano cose de­liziose che costano venti franchi. Sua sorella Bianche vi aveva comperato una veste di seta, che tra parentesi le stava proprio male. Eppoi il cappello di paglia, sudicio e senza forma, e soprattutto le scarpe. Con quel mestiere d'andar sempre su e giù, i tacchi si consumano, le suole si bucano, la tomaia si crepa... E ci vorrebbero invece delle belle scarpette! perché una scarpa elegante sottolinea la forma della gamba quando si solleva la sottana per attirare l'uomo. Ora, non c'è dubbio che, tempo due giorni, le scar­pe di Berthe saranno agli sgoccioli. E fortuna ancora che fa bello! Berthe faceva i conti per vedere se, dopo aver mangiato domani e dopodomani, le resterebbe ancora abba­stanza per le scarpe. « Andrò a cercare da un rigattiere della rue des Prétres-Saint-Germain-l'Auxerrois, dove si tro­vano vere occasioni per tre franchi. »
Berthe pensava a tutti i problemi della sua vita di pro­stituta. Pensava che quella sera, dopo aver lavorato con Pierre, avrebbe dovuto farsi un altro cliente e l'indomani altri due. Dopodomani bisognava lavorare per il vestito, poi per il cappello e a questo punto le scarpe sarebbero state inservibili. Giorni di sfinimento succedono a giorni di fatica, una catena di giorni attraverso cui camminiamo, camminiamo. Il boulevard Sébastopol, i Grands Boulevards, con i loro marciapiedi, sono duri come la pietra quando si è andati avanti e indietro per un bel pezzo. Nessuno ha pietà. Questo giovanotto, stasera, adoprerà Berthe almeno un paio di volte. Gli altri vorranno cavarne tutto quello che hanno pagato. Gli uomini usano il nostro cor­po, lo sventrano per darci un po' di pane. Queste idee le turbinavano in testa come uno sciame di insetti neri che ronzano, pungono e fanno piangere i bambini.
Furono alla porta di Pierre. Ancora sulla soglia, lui l'ab­bracciò dicendo:
« Ti amo, piccola Berthe! »
Poi subito la frugò nella scollatura.




Tratto dal romanzo Bubu di Montparnasse, Garzanti editori, Milano, 1966. Traduzione di Giuliano Gramigna.




Charles-Louis Philippe
Charles-Louis Philippe (Cérilly, 4 agosto 1874 – Parigi, 21 dicembre 1909) è stato uno scrittore francese. Come scrisse a Maurice Barrès, «mia nonna era una mendicante, mio padre, che pure era un bambino orgoglioso, chiese l'elemosina poiché era ancora troppo piccolo per guadagnarsi il pane [...] penso di essere il primo di una razza di poveri che in Francia si sia indirizzato alle lettere» Dopo il baccalaureato, Charles-Louis Philippe non riuscì a superare il concorso per entrare al Politecnico di Parigi e ottenne un impiego nell'amministrazione del dipartimento della Senna, conducendo una vita modesta nel suo appartamento parigino dell'île Saint-Louis. Scrisse all'inizio dei poemi in prosa ma passò al romanzo nel 1897 scrivendo Quatre histoires de pauvre amour, poi La Bonne Madeleine et la Pauvre Marie (1898) e La Mère et l'enfant (1900). Un'avventura avuta con una prostituta gli fornisce l'idea di un romanzo sulla vita dei marciapiedi parigini, Bubu de Montparnasse (1901), il suo libro di maggior successo. Seguirono Le Père Perdrix (1902), Marie Donadieu (1904) e Croquignole (1906), rappresentazione degli amori di un impiegato, che concorse al Prix Goncourt senza vincerlo, malgrado il sostegno di Octave Mirbeau. Philippe fece parte del «gruppo di Carnetin» - dal nome di una casa affittata in comune a Lagny, sulla Marne – con Francis Jourdain, Marguerite Audoux, Léon Werth e Léon-Paul Fargue. Fu anche amico di André Gide e di Valery Larbaud. Morì prematuramente per un'infezione di tifo, complicata da una meningite.




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