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Sagarana LE BADANTI


– Brano tratto dal romanzo Prenditi cura di me


Francesco Recami


LE BADANTI



 

(…) Dunque Stefano passò anche l'intero pomeriggio del sa­bato al telefono.
Il salario di una badante era fissato, non si sa da chi, in 750 euro al mese, e quindi soltanto di 350 euro inferio­re allo stipendio di Stefano, ma in più c'era il vitto e l'alloggio. Ma non c'era alternativa, almeno per qualche mese. D'altronde, da quando Stefano aveva preso a considerare i 140.000 euro come fossero a sua disposi­zione, pensava: «Ci mancherebbe altro che ora nascessero dei problemi».
La Marta qualche obiezione l'avrebbe sollevata, ma non ne aveva ancora la forza. Valeva la pena di lasciarsi andare, affidarsi a qualcuno? Le sue resistenze erano naturalmente forti, ma ora cosa poteva fare? In che modo opporsi?
Come spesso succede a chi ha subito un ictus era diven­tata più aggressiva e minacciosa, e sosteneva di non aver bisogno di nessuno, che lei aveva tante amiche, che se lui voleva metterle una straniera in casa e libe­rarsi di lei allora poteva anche andarsene.
E quindi Stefano si sarebbe macerato al pensiero che non solo quel pezzo di merda non gli era minimamente riconoscente per quello che faceva per lei, ma proprio non lo considerava, addirittura continuava a fare la vittima, e inoltre non si fidava. Ma questa volta lui non avrebbe potuto sbattere la porta e andarsene come fanno i ragazzini, questa volta era lui che aveva la responsabilità, era prigioniero della situazione, sen­za via di scampo.
«E poi voi continuate a dire che io ho rischiato la vita, che mi è andata bene, che sono mezza morta. Ma che mi sarebbe successo? Un malore, ma io non mi ri­cordo niente. Hai spento lo scaldabagno?».
 
La frenesia telefonica produsse dei risultati. Tramite conoscenze alla Misericordia, dell'Irene e di un'a­mica di Messia la cui nonna era custodita da una ba­dante filippina, Stefano combinò quattro appuntamenti con altrettante persone che potevano essere candidate a guardare la Marta. Gli appuntamenti erano tutti fissati per la domenica stessa, perché era il giorno libero per loro che erano già impegnate con qualche vecchietto.
Dalla Misericordia erano state segnalate due ucraine. Una neanche si presentò, l'altra arrivò verso le dieci del mattino, era Ylenia, una energica bionda cinquanten­ne che per prima cosa volle conoscere la «signora». Fu molto gentile e familiare con la Marta e le chiese come stava dandole del tu. Si aggirò per la casa, che scanda­gliò rapidamente, e alla fine del giro parlò con Stefano in cucina. La tariffa era la solita, con giovedì pomerig­gio e domenica liberi.
Dal punto di vista di una badante, la situazione più am­bita è quella dell'anziano totalmente immobilizzato a letto o sulla sedia a rotelle, poco cosciente, totalmente dipendente ma che non rompe i coglioni. II problema sarà quello di lavarlo la mattina e la sera, di ricordarsi le medicine, di farlo mangiare. Ma per il resto del tempo si sta tranquilli, si può uscire, si dorme la notte.
Non c'è da massacrarsi per portarlo in giro, ovviamen­te non esce mai, e nella maggior parte dei casi viene un'infermiera una volta al giorno.
Il caso della signora era uno dei più rognosi, invece, in quanto lucida e presente a se stessa, ed esigente, aveva però qualche problema di mobilità, non riusciva a camminare bene né a fare niente autonomamente, ma era sempre in mezzo. Quindi bisognava starle sempre addosso, e non si poteva mai lasciare da sola, né fare altre cose a sua insaputa. Inoltre nel quartiere non c'e­ra niente, neanche un negozio. Ylenia si rese subito conto della situazione, ma disse che voleva un giorno per pensare. Anche Stefano si precipitò a dire che la ri­sposta sarebbe arrivata nel giro di un paio di giorni. Ovviamente stava vedendo anche altre persone. Si sarebbero risentiti per telefono.
Verso mezzogiorno arrivò Maria Asunción, che era la cugina di una ragazza che lavorava da una signora molto per bene del Poggio Imperiale. Per la verità arrivarono in due, Maria e la cugina, che si chiamava Chenita e parlava a nome dell'altra, come se fosse il suo agente.
«Ma Maria parla italiano?» chiese Stefano sospettoso. «Abbastanza bene», fu la risposta della cugina. La ragazza era molto giovane, alta un metro e cinquantadue e con gli zigomi alti alti, le mancava solo la bom­betta andina, se ne stava sempre zitta e sembrava an­che un po' smarrita. A Stefano era piaciuta di più l'ucraina, che sembrava anche più robusta e pratica, e tutto sommato tuttora un pochino trombabile.
Nel pomeriggio venne la filippina, che aveva una infi­nità di problemi di famiglia e che ci aveva messo due ore ad arrivare dalla Rufina fra corriera e due autobus. Quella donna era forse la più brutta che Stefano avesse mai visto, se ne accorse anche la Marta. Sembrava un rospo, parlava un italiano incomprensibile, e nean­che si capiva se fosse realmente disponibile.
Alle nove di sera telefonò l'altra ucraina, quella che non si era presentata. Tirò fuori che suo marito era fi­nito in ospedale, per via di una pleurite. Aveva delle richieste molto particolari.
«Allora mie esigenze sono 36 ore totali libere. Se do­menica si va dalle otto alle otto sono dodici, più otto ore giovedì, dalle 14 alle 22. Altre sedici ore, si può fare due mattine e due pomeriggi, come volete voi. Lo stipendio è 800 curo al mese, più tredicesima intera. Un mese di ferie pagate. Naturalmente televisione in camera, e linea ADSL ».
Stefano era sbalordito.
«Una cosa noi non parlato. Assistenza sanitaria. Se io devo andare per visita ginecologica, o dentista, voi pa­gate».
Fu così che la scelta cadde su Ylenia, che al telefono parve contenta, al lunedì. Si sarebbe dovuta presentare il giorno dopo, con i bagagli.
 
Dalle informazioni che Stefano aveva raccolto le ucrai­ne generalmente sono considerate le migliori, anche le moldave e le bielorusse, dice che siano a posto, persone serie. Spesso hanno un titolo di studio, è gente or­gogliosa e molto timorata di Dio.
Ucraine e bielorusse, a parte che si disprezzano fra di loro, guardano i magrebini come ladri e violentatori delle loro stesse mogli – non ci sono badanti magrebi­ne, infatti, la gente tende a non volerle in casa. Per quelli dell'Est i peruviani sono dei nanerottoli ignoran­ti come le capre che però non disdegnano metodi ma­fiosi. Per i magrebini gli indiani sono pezzenti, per gli
equadoregni i filippini sono furbi e opportunisti, per le badanti rumene tutta questa gente è merda, perché lo­ro fanno parte della Comunità europea. I cingalesi sono preferiti dagli italiani perché sembrano inoffensi­vi, una volta c'erano molte polacche, ora un po' meno, le quali detestano rumene, russe, albanesi, per non parlare degli africani e degli asiatici. Tutti questi popoli quando si confrontano in coda davanti alla Questura si schifano. Ma molte badanti in coda alla Questura non ci vanno, perché loro non esistono, non hanno il permesso di soggiorno, e quando camminano per la strada un pochino di timore c'è sempre, anche se non le fer­merà mai nessuno, a meno che non capiti loro un inci­dente, un brutto episodio, un regolamento di conti, una situazione difficile col marito, o che debbano andare in ospedale. Ma si odiano, perché qualcuno è aiutato dalla Chiesa e altri no, perché alcuni imparano presto la lingua e altri mai, o per antichissimi motivi loro.
Comunque al fondo della lista ci sono sempre e per tut­ti i negri: non per niente di badanti negre non ce ne sono, sarebbe un passo troppo lungo.




(Brano tratto dal romanzo Prenditi cura di me, Sellerio editrice, Palermo, 2010.)




Francesco Recami
Francesco Recami (Firenze, 1956) ha pubblicato, tra l’altro, L’errore di Platini (2006), Il correttore di bozze (2007) e Il ragazzo che leggeva Maigret (2009).




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