LA CASA DI CHEF Raymond Carver
Quell’estate Wes aveva preso in affitto una casa ammobiliata a nord di Eureka da un ex alcolizzato che si chiamava Chef. Poi mi ha chiamato per chiedermi di lasciare perdere quello che stavo facendo e trasferirmi lassù a vivere con lui. Diceva che s’era rimesso in carreggiata. La conoscevo bene, la sua carreggiata. Comunque non voleva sentire ragioni. Continuava a chiamarmi e diceva: Edna, dalla finestra del soggiorno si vede il mare. Si sente la salsedine nell’aria. Io lo stavo ad ascoltare. Non biascicava le parole. Gli ho detto: Ci penso un po’ su. Ed è quel che ho fatto. Una settimana dopo ha richiamato e ha detto: Allora vieni? Gli ho risposto che ci stavo ancora pensando su. Lui ha detto: Ricominciamo tutto da capo. Io gli ho detto: Se vengo lassù, voglio che tu faccia una cosa per me. Basta che la dici, mi ha risposto Wes. Allora gli ho detto: Voglio che cerchi di essere il Wes di una volta. Il vecchio Wes. Il Wes che ho sposato. Wes si è messo a piangere, ma io l’ho interpretato come un segno dei suoi buoni propositi. E così gli ho detto: E va bene, vengo su.
Wes aveva piantato la sua ragazza, o lei aveva piantato lui – non sapevo bene e non me ne fregava niente. Quando ho deciso di rimettermi con Wes, ho dovuto salutare il mio amico. Lui mi ha detto : Stai facendo un grosso sbaglio. Non mi fare una cosa del genere. E a noi, non ci pensi?, ha detto. Io gli ho detto: Lo devo fare per il bene di Wes. Sta cercando di rimanere sobrio. Tu te lo dovresti ricordare cosa significa. Certo che me lo ricordo, ha detto il mio amico, ma non voglio che tu vada. Allora gli ho detto: Vado solo per l’estate. Poi vedrò. Tornerò, gli ho detto. E lui ha detto: E io? Che cosa farai per il mio bene? Non tornare, così mi ha detto.
Quell’estate abbiamo bevuto caffè, bibite gassate e ogni sorta di succhi di frutta. Per tutta l’estate ecco che cosa abbiamo avuto da bere. Mi sono ritrovata a desiderare che quell’estate non passasse mai. Dentro di me lo sapevo che non poteva durare, ma dopo un mese di vita assieme a Wes nella casa di Chef, mi sono rinfilata la fede al dito. Erano due anni che me l’ero tolta. Da quella notte che Wes era ubriaco e aveva gettato la sua nel pescheto.
Wes aveva qualche soldo da parte, perciò non mi sono dovuta mettere a lavorare. E in pratica Chef ci faceva usare la casa per un affitto ridicolo. Il telefono non ce l’avevamo. Pagavamo le bollette del gas e della luce e facevamo spesa al supermercato Safeway, approfittando delle offerte speciali. Una domenica pomeriggio Wes è uscito a comprare uno spruzzatore per il giardino ed è tornato con qualcosa per me. È tornato con un bel mazzo di margherite e un cappello di paglia. Il martedì sera andavamo al cinema. Le altre sere Wes andava agli incontri che lui chiamava gli “Smettila di bere”. Chef lo passava a prendere in macchina e lo riportava davanti casa appena finivano. Certi giorni io e Wes andavamo a pescare trote in uno dei laghetti d’acqua dolce lì vicino. Pescavamo dalla riva e ci mettevamo tutto il giorno per prendere qualche piccola trota. Tanto ci bastano, dicevo io, e la sera stessa le friggevo per cena. Certe volte mi toglievo il cappello e mi addormentavo su una coperta stesa accanto alla mia canna. L’ultima cosa che mi ricordavo erano le nuvole che mi passavano sopra la testa e se ne andavano verso la valle. La sera Wes mi prendeva tra le braccia e mi chiedeva se ero ancora la sua ragazza.
I nostri figli mantenevano le distanze. Cheryl viveva con altre persone in una fattoria dell’Oregon. Badava a un gregge di capre e vendeva il latte. Allevava anche api e riempiva vasetti e vasetti di miele. Aveva la sua vita e io non gliene facevo certo una colpa. A lei non gliene importava niente di quello che suo padre e io facevamo basta che non la mettevamo in mezzo. Bobby era su nello stato di Washington impegnato nella fienagione. Finita quella aveva in mente di raccogliere mele. Aveva una ragazza e stava mettendo da parte un po’ di soldi. Io scrivevo lettere e le firmavo: “Con sempre tanto affetto”.
Un pomeriggio Wes era in giardino a togliere le erbacce quando è arrivato Chef. Io stavo lavando i piatti, e dalla finestra ho visto il suo macchinone fermarsi davanti casa. Vedevo la sua macchina, il viale di accesso e la superstrada e, oltre la superstrada, le dune e il mare. Sull’acqua c’erano delle nuvole basse. Chef è sceso dalla macchina e si è tirato su i pantaloni. Ho capito subito che c’era qualcosa. Wes ha smesso di fare quel che stava facendo e si è alzato. Portava i guanti e un berrettino di tela. Si è tolto il berretto e si è passato il dorso della mano sulla fronte. Chef gli si è avvicinato e gli ha messo un braccio sulle spalle. Wes si è sfilato uno dei guanti. Sono andata alla porta. Ho sentito Chef che diceva a Wes che Dio solo lo sapeva quanto gli dispiaceva ma doveva chiederci di lasciare la casa alla fine del mese. Wes si è sfilato anche l’altro guanto. Come mai, Chef? Chef ha detto che sua figlia, Linda, la donna che Wes chiamava Linda la Grassa all’epoca in cui beveva, aveva bisogno di un posto in cui vivere e quel posto era questo.
Chef ha raccontato a Wes che il marito di Linda era uscito con la barca da pesca qualche settimana prima e nessuno l’aveva più visto né sentito da allora. Lei è sangue del mio sangue, Chef ha detto a Wes. Ha perso il marito. Ha perso il padre del suo bambino. Io posso darle una mano. Sono felice di poterle dare una mano, ha detto Chef. Mi spiace, Wes, ma ti toccherà trovare un’altra casa. Poi Chef ha abbracciato di nuovo Wes, si è ritirato su i pantaloni, è salito nel suo macchinone e se ne è andato.
Wes è rientrato in casa. Ha lasciato cadere guanti e berretto sulla moquette ed è sprofondato nella poltrona. La poltrona di Chef, mi è venuto di pensare. Anche la moquette era di Chef, a ben vedere. Wes era pallido. Ho preparato due tazze di caffè e gliene ho portata una.
Va bene, Wes, gli ho detto. Adesso non stare a preoccuparti, ho detto. Mi sono seduta sul divano di Chef con la mia tazza di caffè.
Adesso qui al posto nostro ci verrà ad abitare Linda la Grassa, ha detto Wes. Teneva la tazza in mano, ma non beveva.
Wes, adesso non ti agitare, gli ho detto.
Il suo uomo sarà finito a Ketchikan, ha detto Wes. Il marito di Linda la Grassa se l’è semplicemente squagliata. Chi può fargliene una colpa?, ha detto Wes. Poi ha aggiunto che anche lui, a pensarci bene, avrebbe preferito naufragare con la sua barca piuttosto che vivere il resto dei suoi giorni con Linda la Grassa e il suo moccioso. Poi Wes ha posato la tazza accanto ai guanti. Finora questa è stata una casa felice, ha detto.
Ne troveremo un’altra, vedrai, ho detto io.
Non come questa, ha detto Wes. Ad ogni modo, non sarebbe più lo stesso. Questa casa è stata una buona casa per noi. In questa casa ci sono rimasti dei bei ricordi. Adesso ci vivranno Linda la Grassa e il suo moccioso, ha concluso Wes. Quindi ha raccolto la tazza e ha assaggiato il caffè.
La casa è di Chef, ho detto. Deve fare quello che deve fare.
Lo so, ha detto Wes. Ma mica mi deve piacere per forza.
Wes aveva una strana espressione. La conoscevo bene, quell’espressione. Continuava a bagnarsi le labbra con la lingua. E a spingersi la camicia nei pantaloni con i pollici. Si è alzato dalla poltrona ed è andato verso la finestra. È rimasto lì a guardare verso il mare e le nuvole che si stavano ammassando all’orizzonte. Si picchiettava il mento con le dita come se stesse pensando a qualcosa. E in effetti stava pensando a qualcosa.
Non te la prendere, Wes, gli ho detto.
Non te la prendere, dice lei, ha detto Wes. Non si è mosso dalla finestra.
Ma dopo un attimo si è venuto a sedere sul divano accanto a me. Ha accavallato le gambe e ha cominciato a giocherellare con i bottoni della sua camicia. Gli ho preso la mano e mi sono messa a parlargli. Gli ho parlato di quell’estate. Ma poi mi sono accorta che ne parlavo come se fosse stata tempo fa. Parecchi anni fa. Insomma, come qualcosa che fosse ormai finito. Allora mi sono messa a parlare dei nostri ragazzi. Wes ha detto che gli sarebbe piaciuto ricominciare tutto da capo e questa volta fare tutto come si deve.
Ti vogliono bene, gli ho detto.
No, non è vero, ha detto lui.
Allora gli ho detto: Un giorno capiranno.
Forse, ha risposto Wes. Ma sarà troppo tardi.
Non si sa mai, ho detto io.
Be’, alcune cose le so, ha detto Wes, guardandomi. So che sono contento che tu sia venuta quassù. Non lo dimenticherò, ha detto. Sono contenta anch’io, ho detto. Sono contenta che tu abbia trovato questa casa.
Wes ha lanciato uno sbuffo. Poi è scoppiato a ridere. Siamo scoppiati a ridere tutti e due. Che personaggio, Chef!, ha detto Wes, scuotendo la testa. Ci ha giocato un bel tiro mancino, quel figlio di buona donna. Ma sono contento che ti sei rimessa quella fede al dito. Sono contento che abbiamo passato questo periodo insieme, ha detto Wes.
Poi ho detto qualcosa io. Ho detto: Immagina, immagina soltanto, che non fosse successo niente. Immagina che questa sia la prima volta. Immagina. Immaginare non costa niente. Metti che niente di tutto il resto fosse mai successo. Capisci che voglio dire? Dove saremmo allora?, gli ho detto.
Wes ha puntato gli occhi su di me. Poi ha detto: Allora immagino che dovremmo essere altre persone. Persone che non siamo. Non ho più quel genere d’immaginazione. Siamo nati per essere quello che siamo. Capisci cosa ti sto dicendo?
Gli ho detto che non avevo buttato via una buona occasione e viaggiato per seicento miglia per venire a sentire discorsi del genere.
Lui ha detto: Mi dispiace, ma non posso mica parlare come qualcuno che non sono. Non sono mica un’altra persona. Se fossi un’altra persona, puoi scommetterci che non sarei certo qui. Se fossi un’altra persona, non sarei io. Ma sono quello che sono. Non lo capisci?
Wes, mi sta bene, ho detto. Mi sono portata la sua mano alla guancia. Poi, non so, mi sono ricordata di quando Wes aveva diciannove anni, di come correva attraverso il campo dove suo padre era alla guida del trattore e, schermandosi gli occhi con la mano, osservava il figlio corrergli incontro. Eravamo appena arrivati in macchina dalla California. Io ero scesa dalla macchina con Cheryl e Bobby e gli dicevo: Ecco laggiù il nonno. Ma erano ancora troppo piccoli.
Wes era seduto vicino a me e si picchiettava il mento, come se stesse cercando di capire cosa sarebbe successo ora. Il padre di Wes ormai era morto e i ragazzi si erano fatti grandi. Ho guardato Wes e poi mi sono data un’occhiata intorno nel soggiorno di Chef, alle cose di Chef, e ho pensato: Dobbiamo fare qualcosa e dobbiamo farlo subito.
Tesoro, ho detto. Wes, stammi bene a sentire.
Che vuoi?, ha chiesto lui. È stata l’unica cosa che ha detto. Sembrava che ormai avesse preso una decisione. Avendola presa, però, non aveva fretta. Si è appoggiato allo schienale del divano, ha intrecciato le mani e ha chiuso gli occhi. Non ha detto più niente. Non c’era più bisogno.
L’ho chiamato tra me e me. Era facile dire il suo nome ed era ormai tanto tempo che m’ero abituata a chiamarlo così. Poi l’ho chiamato di nuovo. Questa volta a voce alta. Wes, ho detto.
Lui ha riaperto gli occhi. Ma non guardava mica me. Si è limitato a restare lì seduto e a guardare verso la finestra. Linda la Grassa, ha detto. Ma io sapevo bene che lei non c’entrava niente. Non contava. Era solo un nome. Wes si è alzato e ha tirato le tende. Il mare è sparito, così, da un momento all’altro. Sono andata in cucina a preparare la cena. Avevamo ancora un po’ di pesce in ghiacciaia. Non c’era molto altro. Stasera lo ripuliamo, ho pensato, e così sarà tutto finito. (Brano tratto dalla raccolta di racconti Cattedrale, traduzione di Riccardo Duranti – minimum fax, Roma, 2002.) Raymond Carver è uno degli autori più celebrati d'America, oggetto di un vero culto tra gli ammiratori. Figlio di un operario di segheria e di una cameriera era nato a Clatskanie, nell'Oregon, il 25 maggio 1938. Assieme a John Cheever insegnò scrittura creativa presso l'Iowa Writer's Workshop. Ha iniziato scrivendo poesie, già cariche dello stile e dei temi di tutti i racconti successivi. È stata comunque la pubblicazione di diversi racconti, tra cui ricordiamo Cattedrale, Di cosa parliamo quando parliamo d'amore, Vuoi star zitta per favore?, Chi ha usato questo letto?, Da dove sto chiamando?, a renderlo conosciuto in patria e all'estero, tributandogli un grande successo anche postumo, come spietato interprete della realtà moderna americana e della difficoltà dei legami interpersonali (ricordiamo come un grande regista come Robert Altman si sia ispirato a numerosi racconti di Carver nella stesura della scenografia del suo graffiante capolavoro America Oggi). è morto nell'agosto 1988, a 50 anni, stroncato da un tumore epatico
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