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Sagarana ADELINA


– Brano tratto dal romanzo Manuale di pittura e calligrafia


José Saramago


ADELINA



 

(…) Allora, conoscevo Adelina da poco più di sei mesi. O meglio, la conoscevo perlomeno da due anni, ma a letto insieme (per dei rapporti sessuali, è chiaro) ci andavamo da poco più di sei mesi. Avevamo iniziato nel solito mo­do: alcuni amici erano venuti dopo cena a passare un po' di tempo da me, e c'era Adelina, un'amica non recente. Passavano le ore e infine tutti se n'erano andati, tranne Adelina, su idea sua, o su mia tacita insistenza, e poi, ri­masti soli, ci eravamo accorti che il nostro interesse era di lunga data, come al solito, e così era rimasta e aveva dormito da me il resto della notte avanzato dai nostri rapporti (sessuali). È stata l'unica volta che ha passato la notte nel mio letto. Ha la madre viva e abita insieme a lei, e la madre non le fa tante domande se rientra a casa prima che i lampioni si spengano, ma tutta la notte sem­bra brutto. E Adelina mi dice che non vuole darle que­sto dispiacere. Quanto a me, spero silentemente che la gentile signora non cambi idea, ma di tanto in tanto, per ravvivare il fuoco, faccio qualche scenata alla povera Adelina, divisa fra un amante impostore e una madre che ha rinunciato a tutto, tranne che alla sua piccola au­torità di guardiano notturno. Fino a oggi, il triangolo ha funzionato alla perfezione.
Volendo parlare di S., visto che l'obiettivo di questa indagine è il trovare quanto si è perso fra il primo e il se­condo ritratto, o quanto era già perduto da sempre (ciò che in me è sempre stato perduto), devo interrogarmi sul significato di questa forma di compiacenza che è il parlare di Adelina, dal momento che di Adelina qui non si tratta. Forse, però, non conviene fare l'inventario delle forze e delle debolezze di qualcuno, per opporvisi o per una semplice registrazione statistica, senza fare un bilan­cio previo delle nostre, e in questa riflessione sarà im­possibile ignorare quelle che, in fin dei conti, ci pesano sopra come granelli di piombo trascinati nel vortice di un cilindro, mosso in realtà da un'altra forza, ma nel cui movimento questi stessi granelli intervengono senza che il cilindro lo senta e senza che l'effettiva forza lo sospetti. La povera Adelina, come fra me e me mi diverto a chiamarla, è assai meno "povera" di quanto abbia detto: viene a letto con me, acconsente e pretende che io le entri dentro (questa virtuosa trasposizione diventa un'oscenità totale perché, letteralmente, che io le entri dentro significa che mi sono rimpicciolito tutto a una di­mensione millimetrica, che mi permetterebbe di digre­dire [mi piacerebbe dire "digradare"] dentro di lei o, al contrario, che questo suo interno abbia acquistato le di­mensioni di una cattedrale, una basilica di San Pietro, una chiesa di Notre-Dame, una grotta dorata e verde di Aracena, dove io passeggio [penetro] a grandezza natu­rale, pattinando sugli umori, sulle secrezioni, riposando nel turgore delle mucose e avanzando sempre, fino al segreto dell'universo, al laboratorio delle ovaie, allo sten­tore delle trombe [mute] di Falloppio, aspirando gli odori primordiali della terra custoditi lì, come nei sessi di tutte le donne, adesso non più osceni perché il sesso non è osceno, ma questo lo so oggi) e poiché io le entro dentro, nonché per il fatto che lei, pur non volendolo in realtà la mia volontà, partecipa della vita generale in cui sia io che lei abbiamo la nostra parte, ed entrambi in un risvolto comune, una strettissima cimasa di Chartres, non posso dire: "Povera Adelina", né dimenticarla. Ogni volta le riverso dentro migliaia di spermatozoi condan­nati a morte in anticipo, avvolti in un fluido gommoso che fuoriesce da me ansante e, per quanto io non ami lei, né lei ami me, nessuno di noi due può sfuggire al brevissimo istante in cui i corpi lassi e soddisfatti riposano, il mio quasi sempre sopra il suo, il suo talvolta so­pra il mio, nonché sopra l'altro chi di noi ne sopporta il peso. Concluso l'atto sessuale (detto anche "atto d'a­more"), il corpo che si trova sotto pesa su quello che sta sopra, e chi non ha mai scoperto questo, non possiede né corpo né sesso né coscienza di sé. Due volte si eser­cita quindi la forza di gravità, non perché si annulli, ma perché lo schiacciamento sia totale. Perché la levita­zione dei corpi non è possibile quando il sesso dell'uomo è ancora profondamente ancorato al sesso della donna, mentre riversa o dopo avere riversato la bianca secrezione dei testicoli e si bagna fra le pareti rosse o ro­see, e ardenti, quando la remotissima tristezza del colto annebbia il cervello e annienta a una a una le membra abbandonate.
Sappiamo entrambi, Adelina e io, che un giorno tron­cheremo la relazione: soltanto l'inerzia la tiene ancora in piedi. Non sono, ovviamente, il primo uomo della sua vita: ne ha avuti vari, alcuni che conosco e la trattano da amica, perché non l'hanno amata né lei ha amato loro, proprio come le parlerò io quando sopporteremo en­trambi il piccolo dispiacere di separarci. E forse verrà a casa mia quando un'altra Adelina ci sarà per andare a letto insieme un po' più tardi, e forse lei uscirà con un altro uomo con cui va a letto, e infine ci allontaneremo, facendo i gesti che conosciamo tutti e due sul corpo di un altro, senza neppure pensarci, ma tanto assorti nel nuovo sesso, o forse distratti al punto da non sovvenirci alcun ricordo comune, e ammettendo che venisse, sa­rebbe un puro e semplice pensiero, un fatto di un'altra vita o addirittura di un'altra persona. Perciò sono così sicuro di questa mia semplice verità: l'io di questo preciso istante è fondamentalmente diverso da quello di un se­condo prima, talvolta il contrario, ma, senza dubbio, sempre diverso. Ecco perché, per me, è una grande ve­rità che il passato è ormai morto (non basterebbe dire solo: "È morto"). Le donne che ho avuto fino a oggi sono morte, e tanto più morte sono quanto più le ho amate. Nessuna, però, l'ho amata abbastanza perché qualcosa di me stesso morisse con la loro morte.
Legami come questo eccellono per la loro serenità. Valgono finché il dovere di reciproca fedeltà non di­venta pesante, e quando questo tacito dovere viene infranto erano già conclusi. Niente si perde e niente è complicato se il gioco è franco: solo le coppie borghesi si tradiscono, solo i certificati di matrimonio sono gabbie per pazzi furiosi e selve primitive popolate da dinosauri senza cervello. Quando Adelina se ne andrà, o io le dirò di andarsene, o tutti e due ci guarderemo improvvisamente, indifferenti, un'ora di tempo passerà senza ru­more su un'altra ora di tempo e il mondo sarà pronto a rinascere. E se la separazione avverrà qui, a casa mia, potrò udire i suoi passi giù per le scale echeggianti, via via meno nitidi, via via più lontani e, forse, una delle vicine che la conoscono e danno la situazione per defini­tiva, le dirà: "Buonanotte, a domani", e solo io saprò, e lo saprà Adelina, che non ci sarà un domani: quanto alla notte, a ben notare, sarà buona esattamente come un'altra. E insieme consapevoli, l'uno e l'altra, che a nostra volta diremo: "Buonanotte, a domani", quando ci rin­contreremo senza alcun desiderio, o forse resuscitandolo vagamente con uno sguardo incauto, un contatto for­tuito, un po' di alcool in più che ti dia alla testa. Sarà tutto morto, allora, ma noi mortificati, questo proprio no. Non c'è altra differenza.
Adelina è più giovane di me di diciott'anni. Ha un bel corpo, un ventre bellissimo dentro e fuori, una splen­dida macchina per fornicare, e una maniera di essere in­telligente che mi piace. Non è certo un'aquila, dicono gli amici, ma non è mai caduta perché incapace di vo­lare. Dirige o possiede (non l'ho mai appurato con cer­tezza) una boutique e si guadagna una vita piuttosto agiata. Non vive alle mie spalle, bisogna riconoscerlo. Sembra soddisfatta della vita che fa con me, piuttosto li­bera, estranea, per quanto sia sempre disponibile ad ac­compagnarmi e io abbia il sospetto che non le dispiace­rebbe un'intimità più costante. Lo giustifico col mio la­voro, che lei ha il buon gusto di considerare alla stregua di qualunque altro, visto che di arte ne sa abbastanza per fare una distinzione. Grazie a questo buon gusto e al suo buon senso, nonché alla stima che evidentemente ha per me, possiamo parlare di pittura come se io non fossi in causa, con la naturalezza con cui parleremmo di astronautica, giacché io non sono certo Laika e lei non è Von Braun, o viceversa. Eppure, proprio questo silenzio mi offende remotamente: niente di quel che faccio io le im­porta. Né i quadri, che non le piacciono, né il denaro, di cui non ha bisogno. In realtà, l'unico punto d'incontro onesto fra noi due è il letto: lì, io non sono un pittore e lei non è la padrona di una boutique. Quanto all'intelli­genza, basterebbe quella dei sessi, e loro sanno bene che cosa fanno.




(Brano tratto dal romanzo Manuale di pittura e calligrafia, Bompiani, Milano, 1984. Traduzione di Rita Desti.)




José Saramago
José Saramago (1922 – 2010), scrittore portoghese, Premio Nobel per la Letteratura 1998, è stato uno dei più importanti romanzieri del Ventesimo secolo.




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