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Sagarana LA MOGLIE DI CARLO


Racconto tratto dall’antologia ControCuore


Gaspare Baglio


 

Tua madre è sempre stata invadente. Lo sai. Andiamo, non è che adesso tutte le persone che muoiono diventano sante. Tua madre era una stronza. Punto. Amore, scusami se te lo dico così, a brutto muso e, per giunta, il giorno in cui l'hanno sep­pellita, ma tua madre era proprio pesante. Cosa? Come mi permetto? Sentì amore mio bello, io mi sono dovuta sorbire tutti i santi i giorni, per la bellezza di cinque anni, la presenza di mia suocera a pranzo e a cena. Per non parlare, poi, delle domeni­che e dei festivi. Ti si piazzava in casa e monopolizzava tutto. Cucina. Televisione. Divano. Tutto. Senti Carlo, smettila. Non sto dicendo che era cattiva. Sto dicendo che era un po' troppo presente. No, Carlo, non mi voleva bene. Per niente Come perché? Non me ne voleva e basta. Se uno non te ne vuole non te ne vuole. C'è poco da disperarsi. Ma se mi correggeva su tutto. Ok, va bene, c'hai ragione tu. Anzi, sai che facciamo? Chie­diamo la beatificazione. Che ne dici? Ma su, Carlo, un po' di buonsenso. Guarda, facciamo così, finiamola qui. Si. La finia­mo qui. E sai perché? Perché dopo divento cattiva. E se diven­to cattiva tu ci rimani male. Quindi, vai a farti una doccia, rilas­sati, fatti un pianterello, basta che ti levi dalle palle. Non sono indisponente. Sei tu che provochi. Ancora con questa storia? Si. Si, Carlo. Io le volevo bene. Anzi, no. Mi stava sul cazzo. Ci sta­vamo sui coglioni a vicenda. È un problema? Eh? Perché alzo la voce? Perché non ce la faccio più. Tu e la tua famiglia di dementi. Io me ne stavo così bene in città. Avevo un lavoro sod­disfacente, a casa con i miei ero servita e riverita e tutte le sere uscivo con gli amici. Poi sei arrivato tu, il tuo appartamento a quarantacinque chilometri dalla città, le passeggiate con i vec­chi e i pomeriggi a guardarsi "La vita in diretta". Certo che lo dico come se non fossi contenta. Io non sono contenta! Mi hai rovinato la vita e, la cosa che mi fa più rabbia, è che io me la sono lasciata rovinare da te. Da un inetto come te. Come cosa sto dicendo? Carlo Marini, mi hai ro-vi-na-to la vi-ta! Te l'ho scan­dito bene? Sono stata chiara? Ecco. No, non sono sfoghi di lin­gua. Dico sul serio.
Tihodettochenonsonosfoghidilinguanonsonoscossaperillutto­eurloquantocazzomipare! E adesso che fai? Ti prego non pian­gere che sei patetico. Tira fuori gli attributi per una volta. Proprio non ce la fai vero? No, non sono cattiva. Oddio, mi sembri un bambino delle elementari. E va bene, piangi. Sfogati. Imbecille. Sì, sei un imbecille. Il nostro matrimonio sta andan­do a rotoli e tu pensi solo a tua madre. Quella sta meglio di noi. È sempre stata meglio di noi. Ti ha sempre comandato a bac­chetta. Ti faceva fare tutto quello che voleva: portami di qua, prendimi quello, accompagnami in quel posto. Pensi che me ne sia già dimenticata? Ti ricordo anche che, tutte le volte che ti chiedevo di andare all'Ikea, doveva venire anche mamma. Cer­to, guai ad avere un po' di intimità tra marito e moglie.
Perché scopavi bene. Ecco perché ti ho sposato. Contento? A domanda, rispondo. Lo sapevo già che ti mancava la spina dor­sale, ma a letto facevi, e sottolineo facevi, le scintille. Ti ho anche amato. Per poco. Pochissimo in realtà. Adesso che fai, singhiozzi? Mi sento in imbarazzo per te. Complimenti, ci sei arrivato: certo che ti sto lasciando. Cosa credevi? Davvero? Per tutta la vita? Con te? Non ti rido in faccia solo perché sei già bravissimo a umiliarti da solo. Perché ho aspettato che morisse tua madre? Lo vuoi proprio sapere? Per vendetta. Senti, mio caro Carlo, la verità è che tua madre si poteva salvare. Proprio così. Macché. Non stavo dormendo. Affatto. No, non è stata una sorpresa per me trovarla a terra. L'ho lasciata morire. Ecco. Io stavo preparando un panino, mentre lei mangiava le polpet­te rimaste il giorno prima e parlava, parlava. Mi diceva che non erano proprio buonissime e mi dava consigli su come farle alla sua maniera, "secondo ricetta", come a te piacciono tanto. Una continuazione. Ad un certo punto ha smesso. Sentivo come dei singhiozzi. Mi sono girata e tua madre si teneva la gola con una mano e con l'altra cercava di toccarmi: chiedeva il mio aiuto. Mi sono girata e ho continuato a fare quello che stavo facendo, a parlarle come se non stesse succedendo niente. Speravo che crepasse. Sì, l'ho sperato con tutta me stessa. Mi ha toccato la spalla. In quel momento, una scossa. Ho avuto paura che fosse sopravvissuta. Poi, un tonfo. Morta. Sono corsa in camera da letto. Ho mangiato il mio panino. Era il più buono che avessi mai gustato. Mi sono addormentata. Sei stato tu a svegliarmi nella tua disperazione. Ma non farmi ridere. Guarda che l'hanno fatta l'autopsia. A quell'ingorda di tua madre gli è andata una polpetta di traverso. Non ti crederebbe nessuno. Direbbero che lo fai per ripicca, perché sto abbandonando il tetto coniu­gale. Lascia stare, Carlo. Davvero. Lo dico per te. E adesso, per favore, vatti a fare questa cazzo di doccia. A proposito, io stase­ra dormo dai miei. No Carlo, non stavo scherzando e, per favore, quando esci dal bagno, assicurati che sia pulito. Io vado. Addio, Carlo.
E smettila di chiamarmi amore.




Racconto tratto dall’antologia ControCuore, Azimut editrice, Roma, 2010.




Gaspare Baglio
Gaspare Baglio, bolognese ma trapiantato a Roma, č speaker radiofonico e redattore. Ha ideato il programma "C'est la ouate" che conduce su Radio DeeGay, la prima gay web radio italiana. Ha pubblicato racconti per le antologie La Lussuria, L'Invidia e In Cucina edite da Giulio Perrone Editore ed ha ottenuto una menzione speciale partecipando al con-corso "Visto Si Stampi" il primo talent show dell'editoria targato Azimut. Attualmente ricopre la carica di Responsabile Cultura Ar¬cigay Roma Il suo blog č www.gasparebaglio.splinder.com




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